Stamattina,
a fronte di un brano del Vangelo difficile, in cui Gesù rivendica il suo essere
Dio, il papa ha preferito, nella sua omelia, parlare della Madonna Addolorata,
anzi la Madonna dei setti dolori, che la pietà popolare cattolica ricorda in
questo ultimo venerdì di Quaresima.
Il
culto mariano, nonostante la scristianizzazione del paese, resta forte. Molto
probabilmente, il rosario è tuttora la preghiera più recitata in Italia. Ho
visto corone del rosario sbucare anche da borse di donne non use a mostrare una
qualche sensibilità religiosa.
È
evidente che la Madonna Addolorata, la Mater dolorosa – di tante laudi, di
tante immagini, della Pietà michelangiolesca – riesca a concentrare in sé la
tragica esperienza del dolore delle madri, e, quindi, del mondo: di tutti i
luoghi e di tutti i tempi. Di Madonne che piangono ne conosciamo, forse, molte
di più che Madonne in qualche modo “serene” o “rasserenanti”.
Non
ho dubbi che, quando si è felici, vincenti, quando tutto va bene, bisogna
ricordare che il Venerdì Santo è l’esperienza di tanti altri: che mai dobbiamo
scordare chi soffre.
In
queste settimane in cui stiamo vivendo tutti un Venerdì di passione – certo in
maniera diversa e non mi sognerei di paragonare chi sta sotto un respiratore in
ospedale, chi ha problemi di cibo, e chi, semplicemente, deve restare a casa –
la Croce ha una concretezza di assoluta evidenza.
E
proprio adesso, i cristiani dovrebbero parlare di più di Resurrezione. Di futuro.
Di speranza. Che non è ottimismo di maniera. È la consapevolezza che abbiamo
dei doveri per il domani che verrà. (E, stamattina, il papa ha pregato proprio
per chi sta lavorando non solo per l’oggi, ma anche per il domani)
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