Sarà
un terzo dopoguerra in un secolo. (In molti dicono, e con molte ragioni
dalla loro, di evitare metafore belliche per la pandemia, ma sono quelle che mi sembrano più adatte a indicarne la
fuoruscita)
Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, l’Europa sbagliò percorso
e si inoltrò nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, l’Europa trovò lo slancio per prefigurare la sua unità. Ne sono
derivati, con il permanere di indubbie e gravi ingiustizie sociali, settanta
anni di pace, di istruzione per tutti, di condizioni economiche e sociali di
benessere mai così diffuso. Il terzo dopoguerra, quello che dovremo affrontare,
sarà un bivio epocale. Per tutto il mondo, certo. Ma l’Europa, o fa/diventa l’Europa
dei popoli, oltreché dell'euro, o sparisce dalla storia: non
più co-protagonista ma ai margini di ciò che conta. E l’Italia, fuori dall’Europa,
non esiste. Non è (più) una questione di principio: è una necessità assoluta. Non possiamo esimerci dal lavorare perché l’Europa si (ri)metta in cammino: davvero.
Va
rivisto il rapporto Stato-Regioni. Non ci possono essere venti sistemi sanitari
differenti. Bisognerà ripartire dal Referendum perduto. L’Italia ha molto da
cambiare: della sua organizzazione statale, della sua burocrazia. Prima di
tutti e aggredito da tanti, Renzi ha parlato della ripartenza economica. Sbagliando a
indicare i tempi (non siamo nelle condizioni sanitarie di riaprire alcunché
prima di Pasqua), ma il tema è urgente. E bisognerebbe discuterne con grande attenzione, perché si
tratta di riorganizzare/di ricostruire/ di reinventare tanto.
Dopo
la peste che decimò Firenze nel 1348, la città si avviò verso il Rinascimento.
A giudicare da quello che, chiusi in casa, si legge sui social, dopo saremo più o meno uguali a noi
stessi. Ma, si spera, che, in tanti (e non solo i trafficanti di male) stiano
elaborando idee, progetti, visioni che consentano, nelle mutate condizioni di
vita che verranno, di far fare al paese un grande passo avanti.
Per
la prima volta nella storia, è evidente che la vita di ciascuno dipende dalla
salute del vicino. E, nella catena di vicinanze, da quella di tutti. Ciò ci
indurrà ad aprirci ad un mondo più uguale, con maggiore giustizia sociale, o ci
porterà ad una maggiore chiusura? Costruiremo più ponti (di “abbracciarci” non se
parlerà per molto tempo) o a alzeremo più muri?
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