La parola
è un condottiero
della forza umana.
Marsc!
Che l’epoca
esploda
dietro di noi
in una salva di
proiettili.
Che agli antichi
giorni
il vento
riporti
soltanto un’arruffata
matassa di capelli.
Per l’allegria
è poco attrezzato
il nostro pianeta.
Bisogna
strappare
la gioia
ai giorni venturi.
In questa vita
non è difficile
morire.
Vivere
è di gran lunga
più difficile.
Vladimir
Majakovskij
Nelle parole lette ho
sempre trovato una casa alle inquietudini del cuore.
Nella pandemia, più che
in altre circostanze, ho avvertito, in certe letture, scendermi addosso un’annoiata
stanchezza da parole provenienti da una insopportabile vacuità.
Non mi illudo che – dopo – diventeranno desuete parole brutte del nostro anche recente passato.
Temo che sopravvivranno parole che non hanno un presente da indicare. Penso ai lavori
che non ricominceranno. Sono convinta che persone che hanno fondato il loro,
pur modesto, benessere, in alcune attività (del commercio, per esempio, o del
tempo libero, della cultura) dovranno reinventarsi: non ci sarà possibilità di ripresa in
tempi ragionevoli e i sussidi non basteranno.
Ci saranno lacrime e
sangue e, come in altre situazioni storiche, magari dalla sofferenza senza vie
d’uscite nascerà un nuovo Rinascimento, un nuovo Risorgimento.
Anche le parole hanno
bisogno di una nuova Grammatica. Di nuovi fili d’Arianna per inanellarle in
maniera che la luce risplenda nel loro suono. Che sappiano raccontarci per come
siamo adesso. Che sappiano indicarci la via.
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