sabato 30 maggio 2020

La nuova normalità


 
La mia gratitudine ad ogni pianta sul balcone
Pioviggina, la temperatura non è da fine maggio. Avrei voluto, stamattina, arrivare ad un supermercato un po’ più lontano da casa. Ci rinuncio. Già ieri ho preso un po’ di fresco, non sia mai mi prenda qualche decimo di febbre. Con la febbre, a meno che non fosse proprio alta, ho lavorato tante volte: il dovere prima di tutto, figuriamoci se avrei potuto provocare un disguido al lavoro per una lieve indisposizione. Ecco: questo ritiro a casa ad ogni tosse, raffreddamento, gocciolamento del naso entra in automatico nel pacchetto di istruzioni per l’uso del dopo pandemia.
In realtà, nella pandemia ci siamo ancora. Anche se, onestamente, a me sembra di essere, ormai, dentro un Truman show: in una sorta di recita generale ma a soggetto, un teatro dell’assurdo, con i poteri dello Stato in conflitto tra loro, gli esperti da cui abbiamo sentito dire tutto e il contrario di tutto, l’irrazionalità delle scelte, il ridicolo di molte indicazioni.
Ma, arrivati a questo punto, una prima sintesi, la possiamo fare. Non solo della situazione mondiale, europea e nazionale, con tutti i risvolti economici, sociali, culturali che la pandemia ha provocato e continuerà a provocare. Quella strettamente personale.
La mia comprende cinque fasi:
Uno. Dopo il 20 febbraio, ho cominciato a sentire una morsa addosso sempre più stringente, un senso di oscuro pericolo, di fronte al quale avvertivo, tutti, indifesi. Avevo un po’ di tosse, cui in altre circostanze non avrei dato il minimo di attenzione; ho chiamato il medico (che già era contattabile solo attraverso il telefono della segretaria), mi ha dato qualcosa raccomandandosi di avvertirlo se avessi avuto febbre (che mai ho avuto). Ho iniziato a stare il più possibile a casa, temendo di poter essere contagiosa senza saperlo.
Due. La primissima fase del confinamento l’ho vissuta con un senso di stordimento cui ho reagito cercando di riflettere, di ragionare. Mi è sembrato complicato organizzare le cose minime (fare la spesa), ho provato una pena indicibile per tutti quelli (dai camionisti alle commesse dei supermercati) costretti a lavorare. Sono uscita pochissimo: e ogni volta anche l’aria mi è sembrata un pericolo. Grande gratitudine per il mio fruttivendolo che mi ha fatto recapitare a casa il cibo necessario.
Tre. È subentrata, poi, prima di Pasqua, una fase più quieta. L’organizzazione dei giorni rodata, nessun dovere se non quelli minimi (cucinare, pulire), una certa tranquillità delle vite delle persone più care, ognuna lontana nella propria casa, ma ciascuna senza troppi problemi, il diritto di dedicarmi il tempo, la libertà di leggere, vedere solo quello che piace.
Quattro. Poi, una sorta di tracollo, un pozzo depressivo. Il 25 aprile più triste di tutti. Aggravato dal fatto che una delle persone care stava male (non per covid) e l’impossibilità di raggiungerla ha appesantito l’anima di un senso di impotenza e come di fallimento esistenziale.
Cinque. Dopo il 4 maggio, una lenta ripresa di vita: ho raggiunto la chiesa, ho ripreso (tre volte al momento) la macchina, ho rivisto, con adeguata distanza, qualche congiunto e due amiche.
Mi è diventato normale, ogni volta che suonano alla porta, mettere la mascherina (i guanti fino a qualche giorno fa; ora ho smesso); usare gel in continuazione, lavare il pavimento quante mai volte ho fatto, pulire anche le confezioni del latte, spostare in sacchetti “sicuri” le insalate.
Particolarmente importante, in questi mesi, è stata la messa di papa Francesco.
Molto importante è stato, in generale, internet. Ho visto bei film, belle serie. Non ho mancato una diretta di De Luca. Mi hanno fatto compagnia quelle, ottimistiche, proiettate al futuro, di Renzi.
Importanti le considerazioni di carattere religioso, politico, culturale.
Importanti le telefonate con alcune amiche ed amici.
Stava già cambiando, ma, adesso, il cambiamento nel mio modo di leggere è totale: riesco a leggere solo libri che mi piacciono, il resto lo mollo senza pietà.
Ho scritto un po’ di cose. Risposto ad alcune domande/interviste.
Sono grata a chi mi ha chiesto di scrivere, di dire qualcosa: mettere la mente da una parte ridà equilibrio.
Ho concluso il libro di Nisida, miracolosamente stampato e addirittura presentato online (chi l’avrebbe mai pensato un mese fa).
Resterò, penso, nella fase cinque, quella della ripresa lenta, per un bel po’.
La sesta vedremo come sarà.
Sperando che la settima non mi/ci riporti alla seconda.

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