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I due mesi di
lockdown – con tutto il surplus di tempo a casa – non hanno aumentato, pare, la
vendita di libri, anzi. Magari, però, anche in questo campo come in altri, si
sarà adottata una linea di “economia da quarantena”, prendendo o riprendendo in
mano testi già in casa. Forse, quindi, chissà, si è letto di più.
Di certo si sono
viste molte fiction: che già marciavano forte e, adesso, di più. E saranno sempre
più richieste nel prossimo futuro: un’oasi nella fatica e nell’ansia delle
successive fasi anti pandemia.
Per molti versi, le
fiction, le miniserie, sono, se non la forma, una delle forme più attuali del
romanzo: una rivisitazione moderna del feuilleton ottocentesco, che ci ha
lasciato non pochi capolavori.
A me, le fiction,
piacciono parecchio. Anche se, in questi mesi di tempo dilatato, lento,
sfuggente, ne ho viste poche, così come pochi libri ho letto.
Intensa, ben scritta
e ben recitata, Unorthodox – miniserie
creata da Anna Winger e Alexa Karolinski, tratta dall’autobiografia di Deborah
Feldman – è il ritratto di una comunità di ebrei ortodossi (ma potrebbe valere
per gruppi di religioni differenti) in cui la libertà e l’autodeterminazione personale
è piegata a precetti coercitivi, asfissianti. E, soprattutto, è il ritratto
della conquista della propria identità della giovane Esty (Esther): pagata con
la fuga da un mondo che avvolge fino a stritolare: in cui le donne sono vittime
sacrificali (in larga parte consenzienti e perpetuanti nelle figlie e nipoti il
loro stato).
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