lunedì 4 maggio 2020

Unorthodox e la forza delle fiction




Immagine dal web

I due mesi di lockdown – con tutto il surplus di tempo a casa – non hanno aumentato, pare, la vendita di libri, anzi. Magari, però, anche in questo campo come in altri, si sarà adottata una linea di “economia da quarantena”, prendendo o riprendendo in mano testi già in casa. Forse, quindi, chissà, si è letto di più. 

Di certo si sono viste molte fiction: che già marciavano forte e, adesso, di più. E saranno sempre più richieste nel prossimo futuro: un’oasi nella fatica e nell’ansia delle successive fasi anti pandemia.

Per molti versi, le fiction, le miniserie, sono, se non la forma, una delle forme più attuali del romanzo: una rivisitazione moderna del feuilleton ottocentesco, che ci ha lasciato non pochi capolavori.

A me, le fiction, piacciono parecchio. Anche se, in questi mesi di tempo dilatato, lento, sfuggente, ne ho viste poche, così come pochi libri ho letto.

Intensa, ben scritta e ben recitata, Unorthodox – miniserie creata da Anna Winger e Alexa Karolinski, tratta dall’autobiografia di Deborah Feldman – è il ritratto di una comunità di ebrei ortodossi (ma potrebbe valere per gruppi di religioni differenti) in cui la libertà e l’autodeterminazione personale è piegata a precetti coercitivi, asfissianti. E, soprattutto, è il ritratto della conquista della propria identità della giovane Esty (Esther): pagata con la fuga da un mondo che avvolge fino a stritolare: in cui le donne sono vittime sacrificali (in larga parte consenzienti e perpetuanti nelle figlie e nipoti il loro stato).

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