“Firenze c’è, ma
avrebbe potuto non esserci più”, disse padre Ernesto Balducci nel novembre 1966.
Qualche anno dopo scrisse della “nostalgia dell’alluvione”: nostalgia non
certo del tragico evento in sé, ma del clima di solidale e operosa
ricostruzione che permise alla città di riprendersi e rifiorire.
Come Paese, come
Europa, come mondo, avremo “nostalgia” del tempo drammatico che ci ha tenuto
bloccati a casa per mesi e poi ci fatti uscire in regime di libertà vigilata: nostalgia di un tempo in cui, insieme al dolore, alla morte, alla paura, si è seminato anche lo
slancio verso una più umana comunità?
Che cosa, ognuno di
noi, si porterà come personale nostalgia? La casa come nido? L’intimità mai
così intensa in famiglia? Le confidenze telefoniche che mai avrebbero superato
certe barriere del pudore? L’over dose di letture, di film, di musica? La
scoperta che si può cucinare o dipingere una parete o mettere in ordine delle
carte? L’aver fatto, nonostante tutto, il proprio dovere? La decisione che, in
altre circostanze, mai si sarebbe avuto il coraggio o la follia di prendere? La
(ri)scoperta della fede? L’iniziare la giornata con la messa del papa? Il
battito del cuore la prima volta che abbiamo ripercorso la strada, anonima, su
cui per anni abbiamo camminato e che ci è sembrata un capolavoro di
architettura? L’attimo di gioia assoluta quando abbiamo rivisto un figlio, una
madre? I passeri che sono venuti a trovarci sui balconi, le viole che sono
cresciute rigogliose? L’idea nuova di noi, della vita, della morte che ci siamo
fatti?
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