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Era di giovedì, il 18
febbraio 1971, quando una colonna di carri armati entrò nel quartiere di Santa
Caterina per poi proseguire sul Lungomare verso il centro della città. Finiva
così la rivolta reggina del Boia chi molla, iniziata nel luglio precedente.
Qualche giorno dopo siamo
tornate a scuola – all’epoca quasi tutte le classi al liceo erano “separate”,
in maschili e femminili. Dopo le vacanze di Natale c’eravamo state pochi
giorni, poi tutte a casa, con la città, chiusa a sud dalla Repubblica di Sbarre
e a nord dal Granducato di Santa Caterina e sbarrata in ogni strada da decine
di barricate.
Cinquant’anni fa, nelle
case (e non tutte) c’era un telefono – fisso – usato da tutta la famiglia: e
con parsimonia. Quindi, nella fase di sospensione della scuola, pochi contatti
con le mie compagne, ma solo con le due, tre più amiche.
Avevamo tutte delle vite “lineari”:
molta famiglia, scuola (più o meno studiavamo tutte parecchio), un po’ più di
compagnia per chi aveva sorelle e cugine, più solitudine per chi non le aveva,
un po’ di televisione, qualche passeggiata per le mie compagne, qualche
camminata in campagna per me.
Che cosa resta di quei
giorni sospesi, in cui, rimanendo alla periferia della Storia, eravamo dentro e
ai margini di un momento storico?
Le emozioni di quei
giorni sono scivolate come pioggia che scende e si disperde o restano come
acqua carsica che ancora ci lavora dentro?
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