giovedì 14 maggio 2020

Silvia e Teresa: la grammatica del futuro






Quanti problemi abbiamo oggi? Dal sanitario all’economico, in tutte le sue sfaccettature, alla ristrutturazione della nostra quotidianità “a distanza”, l’elenco potrebbe riempire un po’ di tomi.
Di un problema, quello delle parole, mi sembra si dica troppo poco.

Ci sono migliaia di parole perse, in questi mesi, dai bambini e ragazzini che hanno avuto una scuola molto parziale, raggiunti poco e male, o proprio non raggiunti, dalla didattica a distanza, e in case e famiglie che non gliele potevano assicurare di loro. Un impoverimento, in fase evolutiva, del dire, che è un impoverimento del pensare e del relazionarsi: un problema enorme. Cui si collega il mondo di parole rattrappite degli anziani per troppo tempo più soli.



Avremmo bisogno di una cura ricostituente di parole belle e buone. Ne circolano, invece, troppe di brutte, anzi di orrende. Non è che non ci fossero prima. È che, adesso, stridono ancora di più con l’esigenza di una parola/pensiero, che semini futuro. Come quelle scritte oggi da Silvia Romano e da Teresa Bellanova*.

Magari non tanti ne sono consapevoli, eppure è palpabile l’urgenza di parole nuove, capaci di pensare il nuovo, di guidarlo, di attuarlo. Serve modulare una grammatica, una sintassi all’altezza del cambiamento che questo snodo della storia impone.




*È vero. Ho pianto. Ho faticato, ho combattuto, e alla fine ho pianto. Hanno accostato le mie lacrime ad altre lacrime: le hanno riportate ad un genere, quello femminile. Io invece ho avuto la forza di piangere - sì, la forza - perché ho fatto una battaglia per qualcosa in cui credevo sin dall’inizio, perché ho chiuso il cerchio di una vita che non è soltanto la mia, ma è quella di tantissime donne e uomini che come me hanno lavorato nei campi.
Però una cosa la voglio dire, a chi sta con me e a chi sta contro di me: le lacrime non le giudicate perché appartengono non a me sola, ma a chi ha ogni giorno il coraggio di sfidare per cambiare, sapendo che si può perdere o vincere. Sono cose che hanno a che fare con la vita, con l’impeto e la forza delle idee. Le lacrime sono il segno costitutivo, generativo della nostra specie. Chi le teme, o chi non ne comprende il senso e la forza, ha perso di vista il carattere più importante dell’umano: la coscienza delle cose, quant’è prezioso mostrarsi vulnerabili. Se abbiamo perso di vista questo, se non sappiamo più riconoscere cosa significa il pianto di chi crede in quello che fa, è preoccupante. Più di ogni battaglia, vinta o persa che sia.
La forza delle donne, ed anche di molti uomini, è proprio saper piangere: non esiste un “pianto di genere”, perché l’unico genere capace di pianto è quello umano. Le donne qui non c’entrano nulla: c’entrano coloro che ogni giorno portano avanti le battaglie in cui credono, magari impopolari ma giuste. Quelli che avanzano il cuore senza bisogno di calcolare le distanze. Spostano la notte più in là. E credono nella politica che guarda in faccia i problemi che attendono risposte. Teresa Bellanova



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