Quanti problemi
abbiamo oggi? Dal sanitario all’economico, in tutte le sue sfaccettature, alla
ristrutturazione della nostra quotidianità “a distanza”, l’elenco potrebbe riempire
un po’ di tomi.
Di un problema, quello
delle parole, mi sembra si dica troppo poco.
Ci sono migliaia di
parole perse, in questi mesi, dai bambini e ragazzini che hanno avuto una scuola
molto parziale, raggiunti poco e male, o proprio non raggiunti, dalla didattica
a distanza, e in case e famiglie che non gliele potevano assicurare di loro. Un
impoverimento, in fase evolutiva, del dire, che è un impoverimento del pensare
e del relazionarsi: un problema enorme. Cui si collega il mondo di parole
rattrappite degli anziani per troppo tempo più soli.
Avremmo bisogno di
una cura ricostituente di parole belle e buone. Ne circolano, invece, troppe di
brutte, anzi di orrende. Non è che non ci fossero prima. È che, adesso,
stridono ancora di più con l’esigenza di una parola/pensiero, che semini
futuro. Come quelle scritte oggi da Silvia Romano e da Teresa Bellanova*.
Magari non tanti ne
sono consapevoli, eppure è palpabile l’urgenza di parole nuove, capaci di
pensare il nuovo, di guidarlo, di attuarlo. Serve modulare una grammatica, una
sintassi all’altezza del cambiamento che questo snodo della storia impone.
Però una cosa la voglio dire, a chi sta con me e a chi sta contro di me: le lacrime non le giudicate perché appartengono non a me sola, ma a chi ha ogni giorno il coraggio di sfidare per cambiare, sapendo che si può perdere o vincere. Sono cose che hanno a che fare con la vita, con l’impeto e la forza delle idee. Le lacrime sono il segno costitutivo, generativo della nostra specie. Chi le teme, o chi non ne comprende il senso e la forza, ha perso di vista il carattere più importante dell’umano: la coscienza delle cose, quant’è prezioso mostrarsi vulnerabili. Se abbiamo perso di vista questo, se non sappiamo più riconoscere cosa significa il pianto di chi crede in quello che fa, è preoccupante. Più di ogni battaglia, vinta o persa che sia.
La forza delle donne, ed anche di molti uomini, è proprio saper piangere: non esiste un “pianto di genere”, perché l’unico genere capace di pianto è quello umano. Le donne qui non c’entrano nulla: c’entrano coloro che ogni giorno portano avanti le battaglie in cui credono, magari impopolari ma giuste. Quelli che avanzano il cuore senza bisogno di calcolare le distanze. Spostano la notte più in là. E credono nella politica che guarda in faccia i problemi che attendono risposte. Teresa Bellanova
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