domenica 3 maggio 2020

I romanzi che leggerò nel dopo lockdown





Che romanzi produrrà la pandemia?
Tanti e di ogni genere letterario.

Ci saranno storie, importanti, di nuovi eroi (i medici, ma anche la piccola commessa del supermercato che ha lavorato con permanente batticuore); indagini sulle scelte o non scelte di politici e amministratori; e tantissime altre prospettive.

Ci saranno anche milioni di storie sui microcosmi che, in questi mesi, sono diventate le nostre case. Pochi personaggi “in loco”, magari tanti “in collegamento”. Ci saranno da scrivere variazioni infinite di vicende familiari.

Non vorrò leggere di gente scoppiata (ce ne sarà tanta): ho già alle spalle decenni di narrativa (senza capolavori) che, con dovizia, ci ha raccontato persone e relazioni sfrantumate.

Dopo tanta morte, tante chiusure e limitazioni, con i traumi di una mazzata epocale sul collo, mi piacerà leggere solo storie belle e buone.

Ce ne saranno, (insieme ai tanti che stanno solo aspettando di correre dai divorzisti), di mogli e mariti che, costretti a stare insieme 24 h su 24, avranno riscoperto come e perché si erano innamorati; di fidanzati separati cui è venuta voglia di fare famiglia; di genitori e figli che si sono riconosciuti; di ragazze e ragazzi, che, ristretti dopo un’ultima movida, saranno in breve cresciuti, maturando decisioni importanti sulla loro vita, farò il medico, la giornalista, il prete.

Mi aspetto di leggerle, queste storie belle e buone. Che sono difficilissime da scrivere. Perché si rischiano banalità, moralismo, retorica; più semplice affrontare la complessità del reale con storie frante, che si muovono contorte (non parlo di eventi, parlo di scelte, di autodeterminazione dei personaggi), lasciando un retrogusto non del dramma, della tragicità dell’esistere (che ciascuno conosce), ma del suo banale non senso.

Non leggerò storie che s’incartano sul futile elevato a indispensabile, sull’amoralità come bandiera di progresso, sulla dissoluzione esistenziale passata come certificazione di modernità. Niente rosa stucchevole, ma storie di persone che non sfuggono al sacrificio, anzi ci provano a dare senso alla loro quotidianità, al lavoro come impegno civile, all’amore come costruzione che mette radici nel tempo. Non la piattezza del tutto ok, ma i chiaroscuri che restituiscono la complessità di uno sguardo che da ogni dispersione riesce a tornare al centro, all’essenziale.

Storie miti, sobrie, che del tempo di quello che la storia ricorderà forse come il Grande Virus, conservino, come eredità preziosa, il silenzio, la sospensione che diventa involontaria meditazione, la cura della vita.

Ho sempre amato i gialli (non i noir): perché rimettendo i pezzi al loro posto, ridanno ordine, e, pur non togliendo il male, dicono che, la sua, non è una vittoria per sempre. Mi aspetto storie (non gialli) che facciano respirare la possibilità di dare alla nostra imprevedibile vita un centro, un orientamento, un filo da seguire che ci porti al bello e al buono.

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