Che romanzi produrrà
la pandemia?
Tanti e di ogni
genere letterario.
Ci saranno storie,
importanti, di nuovi eroi (i medici, ma anche la piccola commessa del
supermercato che ha lavorato con permanente batticuore); indagini sulle scelte
o non scelte di politici e amministratori; e tantissime altre prospettive.
Ci saranno anche
milioni di storie sui microcosmi che, in questi mesi, sono
diventate le nostre case. Pochi personaggi “in loco”, magari tanti “in collegamento”.
Ci saranno da scrivere variazioni infinite di vicende familiari.
Non vorrò leggere di
gente scoppiata (ce ne sarà tanta): ho già alle spalle decenni di narrativa
(senza capolavori) che, con dovizia, ci ha raccontato persone e relazioni sfrantumate.
Dopo tanta morte,
tante chiusure e limitazioni, con i traumi di una mazzata epocale sul collo, mi
piacerà leggere solo storie belle e
buone.
Ce ne saranno,
(insieme ai tanti che stanno solo aspettando di correre dai divorzisti), di mogli
e mariti che, costretti a stare insieme 24 h su 24, avranno riscoperto come e
perché si erano innamorati; di fidanzati separati cui è venuta voglia di fare
famiglia; di genitori e figli che si sono riconosciuti; di ragazze e ragazzi, che,
ristretti dopo un’ultima movida, saranno in breve cresciuti, maturando decisioni
importanti sulla loro vita, farò il medico, la giornalista, il prete.
Mi aspetto di leggerle,
queste storie belle e buone. Che sono
difficilissime da scrivere. Perché si rischiano banalità, moralismo, retorica;
più semplice affrontare la complessità del reale con storie frante, che si
muovono contorte (non parlo di eventi, parlo di scelte, di autodeterminazione
dei personaggi), lasciando un retrogusto non del dramma, della tragicità
dell’esistere (che ciascuno conosce), ma del suo banale non senso.
Non leggerò storie
che s’incartano sul futile elevato a indispensabile, sull’amoralità come
bandiera di progresso, sulla dissoluzione esistenziale passata come
certificazione di modernità. Niente rosa stucchevole, ma storie di persone che
non sfuggono al sacrificio, anzi ci
provano a dare senso alla loro quotidianità, al lavoro come impegno civile,
all’amore come costruzione che mette radici nel tempo. Non la piattezza del
tutto ok, ma i chiaroscuri che restituiscono la complessità di uno sguardo che
da ogni dispersione riesce a tornare al centro, all’essenziale.
Storie miti, sobrie,
che del tempo di quello che la storia ricorderà forse come il Grande Virus,
conservino, come eredità preziosa, il silenzio, la sospensione che diventa
involontaria meditazione, la cura della vita.
Ho sempre amato i
gialli (non i noir): perché rimettendo i pezzi al loro posto, ridanno ordine, e,
pur non togliendo il male, dicono che, la sua, non è una vittoria per sempre. Mi
aspetto storie (non gialli) che facciano respirare la possibilità di dare alla
nostra imprevedibile vita un centro, un orientamento, un filo da seguire che ci
porti al bello e al buono.
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