sabato 3 novembre 2018

Microstorie: La cena





 La breve scalinata che dal parcheggio conduceva alla palazzina sembrava allontanare dalla strada principale ben oltre la realtà. Il silenzio accentuava la sensazione di non essere più in città. Un gatto bianco e nero, che stava accoccolato sui primi gradini, li guardò e non si mosse. Una signora in pigiama e ciabatte lo chiamò: Micio, ma il gatto rimase fermo, come dicesse: Questa è terra mia. Più in alto, c’erano altri gatti. 

«Che bello vedervi. Siete i primi, speriamo che gli altri non facciano tardi. Ma l’importante è che, alla fine, ci siamo riusciti». Le maniche della camicia azzurrina arrotolate, Giorgio accolse Anna e Antonio con un sorriso. Erano occorsi quattro mesi e numerosi rinvii perché si realizzasse quell’invito a cena.

L’appartamento era molto più bello di quanto Anna avesse immaginato. Dal portone d’ingresso, si passava direttamente in un’ampia sala con divani dai colori tenui, mobili antichi e, in un angolo, un tavolo tondo apparecchiato con accuratezza. Le pareti erano completamente tappezzate da quadri e i mobili pieni di ninnoli, eppure non si avvertiva nessuna pesantezza, piuttosto un senso di pacatezza, di equilibrio. Che da qualche parte della casa, ci dovesse stare la moglie di Giorgio, gravemente malata da anni, lo diceva un certo ristagno di odore ospedaliero e qualche rapido passaggio, in corridoio, di una badante. Dal balcone si vedeva il golfo, placido e illuminato. Anna osservò la luna, appena velata nel cielo sgombro di nuvole, e respirò profondamente.

Giorgio e Antonio erano stati colleghi di lavoro e avevano molto da raccontarsi. Anna interveniva poco, ma sorrideva molto. Quell’uomo così a modo, le faceva molta simpatia.

Quando arrivarono gli altri, s’era già fatto tardi: «Prendete gli stuzzichini e accomodatevi. Pochi minuti ed è pronto.»

Giorgio sparì in cucina. Antonio, Alfredo e Aurelio, anch’essi compagni di lavoro (tutti e quattro, Giorgio compreso erano ormai in pensione) avevano fatto gruppo e chiacchieravano del più e del meno. Irma, compagna di Alfredo da pochi mesi e Jolanda, compagna di Aurelio da qualche anno, parlottavano fitto tra di loro. Anna teneva le orecchie alla cucina e, quando capì che il trafficare tra i fornelli di Giorgio era arrivato ad un compimento, si offrì di dare una mano a servire.

La cena fu ottima: primo, secondo con quattro contorni, frutta, gelato; la conversazione superficiale, appena movimentata da qualche frecciata di gelosia tra Jolanda e Aurelio e da qualche ironia di Alfredo.

Antonio sarebbe rimasto a lungo ma quando, dopo Jolanda e Irma, si alzarono anche Alfredo ed Aurelio, disse ad Anna: «Ce ne andiamo anche noi?»

«È stato bello – commentò Giorgio – mi dispiace solo di non avervi potuto godere di più.»

Scesero tutti insieme. Anna camminava avanti a tutti, la grande sciarpa azzurra di bambù stretta intorno al viso a bloccare le lacrime che dalle viscere le salivano agli occhi. La malinconia era una pioggia sottile che le allagava il cuore.

I tre uomini si misero al volante di macchine simili. Anna chiuse la portiera dietro di sé, Antonio mise in moto. Rimasero un po’ in silenzio. Poi Antonio disse: «Forse, avremmo dovuto chiedere di salutare la moglie.»

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