«Cinquantacinque pollici più in là c’è il mondo reale, fatto di
momenti noiosi, spaventi, malumore, dolori intercostali e un matrimonio.
Milano, una casa, un sesto piano, i problemi, un padre che spalle allo schermo
un po’ ascolta, un po’ no; di sicuro non guarda, preso com’è dalla preparazione
di una perfetta zuppa di cesi. Da solo, attende sua moglie, la madre, che se
fosse presente lo criticherebbe: “La tv o la guardi o la spegni”»
Comincia così, con una tv
in sottofondo, un uomo in cucina e una donna che sta per tornare a casa dopo la
prima lezione di yoga, La bambina ovunque
di Stefano Sgambati, recentemente edito da Mondadori: il racconto di una
gravidanza vista da un futuro padre.
«A quanto pare così è
fatto un padre: insicuro e allo sbando. Sono tentativi goffi e innocenti di
farsi notare su un proscenio che altrimenti tenderebbe a escluderlo. Non
percepisce i movimenti fetali, non perde per quell'istante il respiro mentre
capisce che un altro essere vivente lo abita, perché nessuno lo abita: così è
fatto un padre, in un padre non c'è posto. Né sente la vita che arriva: se la
ritrova; e in mancanza d'altro tende a relativizzare ogni cosa. [...] Nessuno
che gli dica qualcosa, in molti lo ignorano. La figura della madre e dominante
e assoluta, ogni preoccupazione è per lei. Ma così è fatto un padre. Nemmeno il
panico gli è concesso, perché lui non porta la vita, non ha un organismo di
madre da preservare, non necessita di legumi.»
Caustico e tenero,
disincantato e coinvolto, impietoso e toccante, La bambina ovunque è un libro bellissimo: per forza dello stile,
l’autoanalisi senza sconti, distaccata e offerta con dedizione, la capacità di
trasformare l’autobiografia in esperienza letteraria. Ma anche per il racconto,
così vero, così personale, così fuori da ogni cliché (qualche eco si avverte
solo nelle ultime pagine) di una paternità tutt’altro che naturale: non tanto perché avvenuta grazie alla fecondazione
artificiale quanto perché il protagonista non ne ha alcuna vocazione ma, adattandosi continuamente ad un nuovo essere, fa
fronte ai suoi doveri.
Denso di domande sul senso della vita,
dell’innamoramento, della generazione, La
bambina ovunque è uno straordinario inno dell’uomo-marito alla
moglie-madre.
Insieme a Mi vivi dentro di Alino Milan (storia
della lunga lotta della moglie contro il cancro), anch’esso pubblicato quest’anno,
mi sembra anche un’eccezionale testimonianza del valore della famiglia. Mi
colpisce che a suggerirlo, in testi così diversi per tema, stile, pathos, siano
due uomini. (Joan Didion a parte, non mi pare di aver, negli ultimi anni, letto
alcun libro intenso di una donna riferito al proprio marito, nel suo caso un
memoir.).
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