Il giorno della strage degli alberi. Un tragico lunedì, l’ultimo
di questo ottobre dal calore esagerato e dalla esagerata pioggia, in cui
tantissimi alberi, in tante parti dell’Italia, sono stati violentemente divelti
o spezzati dal vento e alcuni (troppi), cadendo, hanno provocato la morte e il
ferimento di passanti, a piedi o in macchina. A Napoli, un ragazzo di ventun
anni, studente di ingegneria.
Da un albero, ti aspetti ossigeno e quiete, ombra e frescura,
conforto e bellezza, riparo e vita. In qualche modo, te lo immagini sempre con
le lucine accese come se festeggiasse Natale e il cinguettio degli uccelli che
ci hanno fatto nido. È sempre carico di frutti, anche se, secondo il suo genere,
non ne fa. Anche quando diventa legna, è casa: mobili, porte, pavimento. Anche
ultima casa, come bara. E segno di legame tra terra e cielo quando è croce.
C’è un dolore particolare quando morte e distruzione arrivano
dalla natura. Esseri naturali e, insieme, culturali, come noi siamo, un
terremoto, un’alluvione, una tromba d’aria ci lasciano sgomenti davanti allo zoccolo
duro della realtà. Che per incuria, per inefficienza, per ignoranza, per
superficialità,per disattenzione, talvolta per biechi interessi, talaltra
perché la nostra gerarchia delle urgenze (anche si spesa) non è adeguata, non
siamo stati in grado di umanizzare sufficientemente la natura, anzi la
continuiamo a maltrattare al punto che ogni sua rabbia, ogni sua tempesta ci
ricade addosso in maniera drammatica.
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