Il
guaio di Antonio R.
Quando tornando a casa – avevo nove anni –
vidi mio padre affannare e poco dopo morto
in ospedale, da quel giorno
manco a scuola più volevo andare.
È iniziato tutto così con i più grandi
per le stazioni di ogni posto
contrabbandando qualsiasi tipo di orologi
presi dai polsi dei passanti
dentro un mondo di bastardi
costretto a lavorare per comprarmi
il passatempo di una canna
a fare il grande, manco mamma
mi capiva: questo figlio è una rovina.
Così a undici anni sono scappato di casa,
senza pensare più a nessuno
tra i casini senza un tetto
raccogliendo nessun profitto
solo botte, castagnole sulle nocche.
Non ho mai capito che problema
avesse la mia vita
ma sono io che sono il guaio,
manco Dio è sceso al mio santuario.
Il
mare a quadratini di Valentina C.
Sei anni che guardo il mare
attraverso i quadratini
microscopici della zanzariera
e i quadrati più grandi che chiudono
ogni finestra
della stanza in cui mi ritrovo.
Bella è la vista
da quassù, ma più bella sarebbe
senza i quadrati.
Amavo la geometria
a scuola,
ora la disprezzo.
Disprezzo i quadrati.
Troppo spigolosi,
troppo precisi.
Quelli di queste finestre
hanno il perimetro verde,
il colore della speranza.
Dovrebbero essere neri,
sarebbe più coerente.
Eppure, questi quadrati
sono magici.
Attraverso di loro guardi
il mondo con occhi diversi.
I tuoi non sono gli stessi occhi
di prima. Non piangono e
non sorridono più
come prima.
Cambiano.
Cambiano come tutto ciò
che ti circonda. Cambiano
come tutto quello che hai dentro.
Qui le stagioni non esistono
si passa dall’estate, piena
di colori e calore, al gelido e grigio
inverno. Sei tu che devi imparare
a crearti i meravigliosi
e profumati fiori della primavera.
Sei tu che devi imparare
a cambiare le foglie
come in autunno.
E come quelle foglie
così cadono i pezzi
del tuo cuore.
Le poesie
di Antonio e Valentina sono state premiate, oggi, al Liceo Umberto, per
le loro poesie al concorso dell’Eip (Scuola Internazionale di Pace)-Miur. Per
lo stesso concorso, nella sezione relativa ai lavori sul settantesimo della
nostra Legge fondamentale ha avuto il primo premio La Carta e la vita. Le ragazze e i ragazzi di Nisida raccontano la
Costituzione.
Questo è
un brano della mia post-fazione ad un libro che mi è particolarmente caro:
Raccontare
la Costituzione
Ci sono luoghi, a partire
dalle scuole, dagli ospedali e dalle carceri, dove il rispetto, che tutti gli
organi dello Stato devono alla Costituzione, ha un valore particolare.
Non c’è anno scolastico
in cui non ho dedicato, in classe, un largo spazio alla legge fondamentale del
nostro paese, alla sua genesi, ai suoi principi fondamentali e ad alcuni
articoli di particolare interesse nel nostro contesto.
Un’esperienza più
particolare la vivemmo nel corso dell’anno scolastico 2002-2003. Nella fase
successiva alla visita a Nisida (30 Agosto 2002) del presidente Ciampi (che
portò in regalo, tra l’altro, centinaia di copie della Costituzione), provammo,
con un gruppo di ragazzi di grande intelligenza e in maggioranza legati a clan
camorristici, a riscriverne i primi dodici articoli. Fu un lavoro di scrittura
collettiva, che ebbe risultati molto soddisfacenti.
Così
li commentavo presentando il lavoro dei ragazzi sul giornale d’Istituto, Nisida News: «La Costituzione è bella e moderna, come
il Presidente ci ricorda spesso, ed è scritta in una lingua di grande chiarezza
e sinteticità. Alcuni articoli, per esempio il 3°, restano nella memoria non
solo per il loro altissimo contenuto ma anche per la loro forma di classica
bellezza: non si potrebbero scrivere meglio. Ma non è così per ragazzi (non
solo i ‘nostri’) che già all'articolo 1° restano completamente spiazzati: che
vorrà mai dire ‘sovranità’, ‘esercita’, ‘forma e limiti’? e non superano la
lettura del 2° dopo essersi arenati su ‘inviolabili’, ‘formazioni sociali’,
‘adempimento’, ‘inderogabili’... (Chissà se i costituenti avessero tenuto conto
anche di ciò, quando hanno scritto che “La Repubblica tutela con apposite norme
le minoranze linguistiche...”) Insomma: già il primo momento, quello della lettura, è lungo e faticoso per i
ragazzi: bisogna capire i termini, appropriandosene al punto da riuscire a
trovare sinonimi per loro più familiari, meno estranei... (Parlate potabile è l'invito che più costantemente i ragazzi
rivolgono all'insegnante quando la spiegazione risulta troppo oscura e loro
vogliono davvero capire). E certe parole portano lontano, hanno un senso che il
vocabolario non esaurisce: ma si comprendono davvero solo viaggiando nel tempo
e nello spazio: “L'Italia è una Repubblica democratica...”: già, dov’è l'Italia
su una carta geografica e quand’è diventata “Italia” e cosa c'era prima della
“Repubblica” e che significa “democratica”? Quante ore si possono passare su
questi tre termini, prima che tutti se ne facciano un’idea sufficientemente
chiara... (…) La fase del commento è la più difficile da gestire. Il ragazzo
che sta in carcere in quanto ha violato una norma scopre con meraviglia che la
Legge non è sua nemica, come ha sempre pensato. Ma, nel contempo, accumula
ancora più rabbia perché pensa che si tratta solo di belle parole, perché quei
diritti che lì stanno scritti così bene lui non li ha mai avuti. E non in
carcere – dove, glieli hanno letti e spiegati – ma fuori, dove la società nel
suo complesso non è riuscita a prenderlo positivamente in carico. E’ tutt'altro
che semplice, per l'insegnante, favorire, nei ragazzi, una dislocazione da quel
sentimento di rabbia, di estraneità e di contrapposizione nei confronti dello
Stato ad un atteggiamento più mobile. E’ un processo lungo e complesso portarli
a coltivare un dubbio, a verificare un'ipotesi: che, canalizzando i propri
sentimenti di ribellione, imparando a sviluppare le proprie qualità migliori,
rispettando essi stessi per primi i loro diritti (ricominciando a istruirsi, a
formarsi) abbiano ancora tempo di diventare cittadini capaci di contribuire a
concretizzare quanto della Costituzione resta ancora da fare. (Difficoltà
fortemente amplificate con i ragazzi extracomunitari che si sentono doppiamente
esclusi e perseguitati dalla legge). La fase della scrittura ha varie specifiche difficoltà, oltre
quella propria a fermare su un foglio parole che già non è semplice dire. Una è
la brevità: i ragazzi scrivono poco, di solito, ma sono tutt'altro che
sintetici: spesso svolgono un tema in quattro, cinque righe, ripetendo quello
che avevano già espresso nei primi due. Essere sintetici, non divagare,
rispettare, riscrivendolo, il dettato costituzionale è stato per loro uno
sforzo davvero molto forte. Anche perché hanno dovuto scrivere in maniera
oggettiva: e il loro modo di inquadrare le cose è strettamente soggettivo. Per
esempio: una volta capito che cosa significa che “l'Italia ripudia la guerra”
il ragazzo tende a risolverla su un piano strettamente personale: “Non bisogna
fare a mazzate, bisogna risolvere le cose con la bocca...come quando ho
litigato con...”. E' stato adottato un sistema di scrittura collettiva,
realizzata in tre tempi. Prima ciascuno ha scritto da solo, poi gli scritti
sono stati comparati tra loro e sono state scelte le formulazioni migliori per
ogni singola frase, (e quando il termine usato dai costituenti è stato lasciato
tale e quale è perché il termine è stato compreso e considerato
insostituibile). Infine è stato così riscritto ogni singolo articolo.»
Un’esperienza
particolarmente interessante, quella fatta nel 2002, che mi è sembrato giusto
riprendere e approfondire in un anno scolastico che si colloca a cavallo tra il
precedente in cui abbiamo ricordato il settantesimo anniversario della
proclamazione della Repubblica (2 giugno 46) e il successivo, in cui
ricorderemo proprio l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1
gennaio 48).[1]
Riprenderla,
però, con modalità nettamente diverse da allora. Ovvero, legando il nostro Laboratorio di politica – grazie al
quale i nostri giovani possono confrontarsi con ospiti autorevoli sui temi
della cittadinanza e della legalità – al Laboratorio
di scrittura. E, quindi, provando a raccontarla attraverso l’invenzione di
storie legate alle loro esperienze. Un approccio oggettivo e, insieme, personale,
che consentisse alle ragazze e ai ragazzi un viaggio all’interno della
Legge fondamentale come scoperta del senso e del valore di regole condivise che
permettano a tutti di vivere con più serenità e maggiori opportunità.
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