giovedì 15 novembre 2018

Frammenti d'un anno scolastico: Un premio per La Carta e la vita






Il guaio di Antonio R.
Quando tornando a casa – avevo nove anni –
vidi mio padre affannare e poco dopo morto
in ospedale, da quel giorno
manco a scuola più volevo andare.
È iniziato tutto così con i più grandi
per le stazioni di ogni posto
contrabbandando qualsiasi tipo di orologi
presi dai polsi dei passanti
dentro un mondo di bastardi
costretto a lavorare per comprarmi
il passatempo di una canna
a fare il grande, manco mamma
mi capiva: questo figlio è una rovina.
Così a undici anni sono scappato di casa,
senza pensare più a nessuno
tra i casini senza un tetto
raccogliendo nessun profitto
solo botte, castagnole sulle nocche.
Non ho mai capito che problema
avesse la mia vita
ma sono io che sono il guaio,
manco Dio è sceso al mio santuario.

Il mare a quadratini di Valentina C.
Sei anni che guardo il mare
attraverso i quadratini
microscopici della zanzariera
e i quadrati più grandi che chiudono
ogni finestra
della stanza in cui mi ritrovo.

Bella è la vista
da quassù, ma più bella sarebbe
senza i quadrati.

Amavo la geometria
a scuola,
ora la disprezzo.
Disprezzo i quadrati.
Troppo spigolosi,
troppo precisi.

Quelli di queste finestre
hanno il perimetro verde,
il colore della speranza.
Dovrebbero essere neri,
sarebbe più coerente.

Eppure, questi quadrati
sono magici.
Attraverso di loro guardi
il mondo con occhi diversi.
I tuoi non sono gli stessi occhi
di prima. Non piangono e
non sorridono più
come prima.
Cambiano.
Cambiano come tutto ciò
che ti circonda. Cambiano
come tutto quello che hai dentro.

Qui le stagioni non esistono
si passa dall’estate, piena
di colori e calore, al gelido e grigio
inverno. Sei tu che devi imparare
a crearti i meravigliosi
e profumati fiori della primavera.
Sei tu che devi imparare
a cambiare le foglie
come in autunno.
E come quelle foglie
così cadono i pezzi
del tuo cuore.

Le poesie di Antonio e Valentina sono state premiate, oggi, al Liceo Umberto, per le loro poesie al concorso dell’Eip (Scuola Internazionale di Pace)-Miur. Per lo stesso concorso, nella sezione relativa ai lavori sul settantesimo della nostra Legge fondamentale ha avuto il primo premio La Carta e la vita. Le ragazze e i ragazzi di Nisida raccontano la Costituzione.

Questo è un brano della mia post-fazione ad un libro che mi è particolarmente caro:
Raccontare la Costituzione
Ci sono luoghi, a partire dalle scuole, dagli ospedali e dalle carceri, dove il rispetto, che tutti gli organi dello Stato devono alla Costituzione, ha un valore particolare.
Non c’è anno scolastico in cui non ho dedicato, in classe, un largo spazio alla legge fondamentale del nostro paese, alla sua genesi, ai suoi principi fondamentali e ad alcuni articoli di particolare interesse nel nostro contesto.
Un’esperienza più particolare la vivemmo nel corso dell’anno scolastico 2002-2003. Nella fase successiva alla visita a Nisida (30 Agosto 2002) del presidente Ciampi (che portò in regalo, tra l’altro, centinaia di copie della Costituzione), provammo, con un gruppo di ragazzi di grande intelligenza e in maggioranza legati a clan camorristici, a riscriverne i primi dodici articoli. Fu un lavoro di scrittura collettiva, che ebbe risultati molto soddisfacenti.

Così li commentavo presentando il lavoro dei ragazzi sul giornale d’Istituto, Nisida News: «La Costituzione è bella e moderna, come il Presidente ci ricorda spesso, ed è scritta in una lingua di grande chiarezza e sinteticità. Alcuni articoli, per esempio il 3°, restano nella memoria non solo per il loro altissimo contenuto ma anche per la loro forma di classica bellezza: non si potrebbero scrivere meglio. Ma non è così per ragazzi (non solo i ‘nostri’) che già all'articolo 1° restano completamente spiazzati: che vorrà mai dire ‘sovranità’, ‘esercita’, ‘forma e limiti’? e non superano la lettura del 2° dopo essersi arenati su ‘inviolabili’, ‘formazioni sociali’, ‘adempimento’, ‘inderogabili’... (Chissà se i costituenti avessero tenuto conto anche di ciò, quando hanno scritto che “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche...”) Insomma: già il primo momento, quello della lettura, è lungo e faticoso per i ragazzi: bisogna capire i termini, appropriandosene al punto da riuscire a trovare sinonimi per loro più familiari, meno estranei... (Parlate potabile è l'invito che più costantemente i ragazzi rivolgono all'insegnante quando la spiegazione risulta troppo oscura e loro vogliono davvero capire). E certe parole portano lontano, hanno un senso che il vocabolario non esaurisce: ma si comprendono davvero solo viaggiando nel tempo e nello spazio: “L'Italia è una Repubblica democratica...”: già, dov’è l'Italia su una carta geografica e quand’è diventata “Italia” e cosa c'era prima della “Repubblica” e che significa “democratica”? Quante ore si possono passare su questi tre termini, prima che tutti se ne facciano un’idea sufficientemente chiara... (…) La fase del commento è la più difficile da gestire. Il ragazzo che sta in carcere in quanto ha violato una norma scopre con meraviglia che la Legge non è sua nemica, come ha sempre pensato. Ma, nel contempo, accumula ancora più rabbia perché pensa che si tratta solo di belle parole, perché quei diritti che lì stanno scritti così bene lui non li ha mai avuti. E non in carcere – dove, glieli hanno letti e spiegati – ma fuori, dove la società nel suo complesso non è riuscita a prenderlo positivamente in carico. E’ tutt'altro che semplice, per l'insegnante, favorire, nei ragazzi, una dislocazione da quel sentimento di rabbia, di estraneità e di contrapposizione nei confronti dello Stato ad un atteggiamento più mobile. E’ un processo lungo e complesso portarli a coltivare un dubbio, a verificare un'ipotesi: che, canalizzando i propri sentimenti di ribellione, imparando a sviluppare le proprie qualità migliori, rispettando essi stessi per primi i loro diritti (ricominciando a istruirsi, a formarsi) abbiano ancora tempo di diventare cittadini capaci di contribuire a concretizzare quanto della Costituzione resta ancora da fare. (Difficoltà fortemente amplificate con i ragazzi extracomunitari che si sentono doppiamente esclusi e perseguitati dalla legge). La fase della scrittura ha varie specifiche difficoltà, oltre quella propria a fermare su un foglio parole che già non è semplice dire. Una è la brevità: i ragazzi scrivono poco, di solito, ma sono tutt'altro che sintetici: spesso svolgono un tema in quattro, cinque righe, ripetendo quello che avevano già espresso nei primi due. Essere sintetici, non divagare, rispettare, riscrivendolo, il dettato costituzionale è stato per loro uno sforzo davvero molto forte. Anche perché hanno dovuto scrivere in maniera oggettiva: e il loro modo di inquadrare le cose è strettamente soggettivo. Per esempio: una volta capito che cosa significa che “l'Italia ripudia la guerra” il ragazzo tende a risolverla su un piano strettamente personale: “Non bisogna fare a mazzate, bisogna risolvere le cose con la bocca...come quando ho litigato con...”. E' stato adottato un sistema di scrittura collettiva, realizzata in tre tempi. Prima ciascuno ha scritto da solo, poi gli scritti sono stati comparati tra loro e sono state scelte le formulazioni migliori per ogni singola frase, (e quando il termine usato dai costituenti è stato lasciato tale e quale è perché il termine è stato compreso e considerato insostituibile). Infine è stato così riscritto ogni singolo articolo.»

Un’esperienza particolarmente interessante, quella fatta nel 2002, che mi è sembrato giusto riprendere e approfondire in un anno scolastico che si colloca a cavallo tra il precedente in cui abbiamo ricordato il settantesimo anniversario della proclamazione della Repubblica (2 giugno 46) e il successivo, in cui ricorderemo proprio l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1 gennaio 48).[1]

Riprenderla, però, con modalità nettamente diverse da allora. Ovvero, legando il nostro Laboratorio di politica – grazie al quale i nostri giovani possono confrontarsi con ospiti autorevoli sui temi della cittadinanza e della legalità – al Laboratorio di scrittura. E, quindi, provando a raccontarla attraverso l’invenzione di storie legate alle loro esperienze. Un approccio oggettivo e, insieme, personale, che consentisse alle ragazze e ai ragazzi un viaggio all’interno della Legge fondamentale come scoperta del senso e del valore di regole condivise che permettano a tutti di vivere con più serenità e maggiori opportunità.


[1] Non si è trattato del Referendum del 4 dicembre, se non e soltanto per spiegarne il contenuto.

 

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