venerdì 9 novembre 2018

Frammenti d'un anno scolastico: Nell'elenco dei giorni più tristi





Nell’elenco, lungo, dei miei giorni di Nisida più amari, questo avrà un posto piuttosto in alto. Hanno arrestato un nostro ex ragazzo, implicato nella fuga post furto che ha portato alla morte del vicebrigadiere Emanuele Reali. Pasquale era un bravo alunno, di quelli (pochi) che in classe lavorano sempre. Era curioso, divertente, gentile. Gli piaceva scrivere, recitare. Ho decine e decine di ricordi che lo riguardano. Quello che, oggi, profondamente mi turba è un racconto con cui, nel 2015, partecipò ad un concorso letterario sul tema del perdono ricevendone un premio e la gratificazione di una messa in scena teatrale. Il racconto si centrava sulla notte in cui, per un colpo sparato da un carabiniere, morì Davide Bifolco.

«Era la notte tra il quattro e il cinque di settembre – scriveva Pasquale – era mezzanotte e avevo appena finito di lavarmi e mi ero preparato alla grande perché tra poco finivano le vacanze e quindi bisognava approfittarne perché le strade di Napoli in questi giorni sono ricche di persone. Scendo sulla moto, una Honda Transalp senza casco perché a Napoli di notte è meglio camminare senza casco piuttosto che farsi ammazzare per una svista. Sto nelle piccole stradine di periferia, precisamente al rione Traiano. Mentre cammino per strada incrocio una pattuglia dei carabinieri a fari spenti e stranamente erano in tre in macchina, quindi, pensai, stasera non mi va di giocare a “guardie e ladri”, meglio spostarmi dal rione. Salgo verso un’altra zona, Pianura, dove ad attendermi c’erano un paio di amiche mie; tra loro c’era una ragazza bellissima, una di cui tutto volevo essere tranne un amico. Ci fermiamo fuori ad un bar a bere qualcosa, i miei occhi fissi su di lei. Avevo un debole, mi piaceva troppo. Anche a lei gli piacevo un po’; usciva da una storia durata molti anni, era un po’ confusa su ciò che voleva dalla vita. Io avevo due bimbe e una relazione chiusa da pochi mesi, ma una gran voglia di innamorarmi di lei che solo Dio sapeva. Tra un complimento e l’altro riesco a portarla a fare un giro in moto; a lei non piaceva la moto ma forse per farmi contento, viste tutte le attenzioni che le donavo, si è sentita in dovere di salirci. Quando correvo si stringeva forte e, anche se non ci siamo baciati, provavo qualcosa di bello, un brivido per tutto il corpo e quindi correvo per farmi abbracciare. Un po’ mi dispiaceva ma in fondo stavo bene nelle sue braccia. Tornammo di nuovo in comitiva, non nego che ho provato a baciarla ma lei non era ancora sicura di ciò che voleva e quindi bisognava rispettarla. Erano le due, due e mezzo circa, un orario in cui rientravamo. Ci salutammo e tornai verso il mio rione, Traiano. Stavo in compagnia di un mio amico il quale mi vedeva felice, parlai di ciò che avevamo fatto durante il giro, di me che approfittavo delle sue paure per rubarmi un forte abbraccio, ridevamo e scherzavamo. Arrivo verso la casa, mi accorgo che ero quasi senza benzina, mi accostai verso una pompa di benzina. Appena fermo, vedo dei lampeggianti blu, decisi di proseguire per paura che mi fermassero, proseguii per la strada. Arrivato alla luce blu, mi accorsi che non ce n’erano una, due, tre, ma un branco: non so descriverne il numero perché non mi misi a contarli, ma qualcosa era successo di brutto. Sentii un’autombulanza, tante persone in strada, andai verso casa, posai la moto e mi diressi verso la folla. Non capivo niente, una folla impazzita; udivo parole di ogni genere: “E’ morto, l’hanno sparato, era un bravo ragazzo”. Fermai un amico e mi spiegò l’accaduto: “Un carabiniere l’ha ammazzato, prima li ha speronati, facendoli cadere e poi ha esploso un colpo; sta all’ospedale.” Nessuno sapeva niente di preciso, quando ad un tratto tra la folla spunta un motorino che era appena tornato dall’ospedale: “E’ morto.” A morire era stato Davide Bifolco, un ragazzo di sedici anni per non essersi fermato all’alt durante un inseguimento. Erano in tre sul motorino, senza né casco né assicurazione; per paura di perdere il motorino del padre di uno dei due ragazzi non si fermarono. Pochi minuti prima ci fu un inseguimento ad un latitante ed era riuscito a scappare, i carabinieri esaltati dall’inseguimento fallito per la fuga del latitante, avevano la vista abbagliata tanto da vederlo dappertutto con una pistola col colpo in canna, pronti a spararlo se avessero avuto l’occasione. Le persone che avevano assistito al tragico episodio erano scosse perché non capivano come un carabiniere spara dopo averli speronati facendogli fare un volo di circa cinque-sei metri. Passano le tre e la folla inferocita aggredisce i carabinieri, mazze, pietre, bottiglie, brutte parole a non finire. Era una notte come tante dove con amici ti fai un giro in moto ti bevi un drink, fai una partitina di bigliardino nelle periferie di Napoli come in tante altre periferie – nei mesi estivi c’è tanta vita di notte. La paura che un padre non ti perdonava per esserti fatto sequestrare un motorino è costata la vita a uno di loro. Il dolore di una mamma chiamata a casa per dirle: “Suo figlio è morto, è stato ammazzato.” Un padre e una famiglia scossa. Un trauma incancellabile, un vuoto che niente e nessuno può colmare. Un giorno, anzi una notte indimenticabile, dove non sai dove prendere la forza per affrontarlo. Tanta solidarietà, tante persone vicine, ma per una mamma è come vivere in una bolla dove non ascolti, non vedi, dove tutte le colpe cadono su di essa: perché non l’ha fatto rientrare? perché non gliel’ha imposto? Non possiamo immaginare quante volte se l’è chiesto: perché da un suo racconto, Davide dieci minuti prima dell’accaduto era passato da casa per prendere un cappello e per dire che andava a giocare una partita di biliardino e rientrava a casa. Un papà che era fuori per lavoro chiamato per farlo rientrare, per annunciargli la brutta notizia, che lui, mentre torna in autostrada, per radio ascolta la tragica notizia. Non avvisato prima per paura che corresse in autostrada, lo scopre per radio rischiando la morte per correre a casa. Un carabiniere che per tutta la vita avrà questa spina nel fianco, un dolore anche per lui, che si porterà per tutta la vita. Uno sbaglio costato la vita di un sedicenne incensurato, bello e buono come il pane. Due fratelli e una sorella, tutti più grandi di lui, era il viziato, il piccolo di casa. Nessuno avrebbe mai immaginato il finale. Davide sognava di diventare calciatore ed io, conoscendolo, posso dire che lo sarebbe diventato, era bravissimo a giocare. Tanti i suoi sogni nel cassetto, talmente tanti che li spostava nell’armadio, non entravano nel cassetto. Un sorriso sempre stampato in faccia pieno di vita. Serate passate insieme agli amici che ancora oggi non si dimenticano. Amava la vita più di ogni essere umano, non voleva passare un secondo senza viverlo. Tante ragazze tanti amori, l’ultima, una ragazzina quasi coetanea, di quindici anni, la chiamava principessa, perché, oltre a vivere, sognava: sognava una vita serena da grande con un lavoro, che se non era un calciatore sicuramente trovava qualcosa da fare per non dare fastidio ai genitori che non avevano tanti soldi e lui capiva al punto da lavorare tre volte a settimana in una pizzeria e la domenica mattina come aiutante in un centro Snai dove si giocano bollette, schedine, sempre legate al calcio, la sua grande passione. L’età non conta di fronte alla morte; se in quell’istante c’era un altro ragazzo più piccolo o più grande sarebbe stato sempre lo stesso. Il destino ha scelto così per lui, una bravata, una delle tante nei quartieri difficili, dove i carabinieri, la polizia sono i cattivi perché si prendono i motorini se li guidi senza casco e se il casco lo metti ti fermano non i carabinieri, ma gente che vive tra noi: “Oh, Oh, Oh, togliti il casco che m’impressiono, ti sparo addosso”, frase tipica del sistema, gente che di notte cammina armata per difendersi dal nemico e imbottiti di alcool o droga, cocaina, si esaltano mettendo in mostra la loro forza, sparando in aria contro bidoni della spazzatura e, se “sgarri”, anche addosso a te che non hai ubbidito all’ordine perché se qualcuno vede che non li ascolti possono pensare di farlo anche loro e, quindi, vieni punito anche per far vedere la loro spietatezza e forza. Gente che non sono capaci di perdonare uno sgarro. La vita non vale tanto in queste zone di periferia di Napoli…»

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