Nell’elenco, lungo, dei miei
giorni di Nisida più amari, questo avrà un posto piuttosto in alto. Hanno
arrestato un nostro ex ragazzo, implicato nella fuga post furto che ha portato
alla morte del vicebrigadiere Emanuele Reali. Pasquale era un bravo alunno, di
quelli (pochi) che in classe lavorano sempre. Era curioso, divertente, gentile.
Gli piaceva scrivere, recitare. Ho decine e decine di ricordi che lo
riguardano. Quello che, oggi, profondamente mi turba è un racconto con cui, nel
2015, partecipò ad un concorso letterario sul tema del perdono ricevendone un
premio e la gratificazione di una messa in scena teatrale. Il racconto si centrava
sulla notte in cui, per un colpo sparato da un carabiniere, morì Davide Bifolco.
«Era la notte tra il quattro
e il cinque di settembre – scriveva Pasquale – era mezzanotte e avevo appena
finito di lavarmi e mi ero preparato alla grande perché tra poco finivano le
vacanze e quindi bisognava approfittarne perché le strade di Napoli in questi giorni
sono ricche di persone. Scendo sulla moto, una Honda Transalp senza casco
perché a Napoli di notte è meglio camminare senza casco piuttosto che farsi
ammazzare per una svista. Sto nelle piccole stradine di periferia, precisamente
al rione Traiano. Mentre cammino per strada incrocio una pattuglia dei
carabinieri a fari spenti e stranamente erano in tre in macchina, quindi,
pensai, stasera non mi va di giocare a “guardie e ladri”, meglio spostarmi dal
rione. Salgo verso un’altra zona, Pianura, dove ad attendermi c’erano un paio
di amiche mie; tra loro c’era una ragazza bellissima, una di cui tutto volevo
essere tranne un amico. Ci fermiamo fuori ad un bar a bere qualcosa, i miei
occhi fissi su di lei. Avevo un debole, mi piaceva troppo. Anche a lei gli
piacevo un po’; usciva da una storia durata molti anni, era un po’ confusa su
ciò che voleva dalla vita. Io avevo due bimbe e una relazione chiusa da pochi
mesi, ma una gran voglia di innamorarmi di lei che solo Dio sapeva. Tra un
complimento e l’altro riesco a portarla a fare un giro in moto; a lei non
piaceva la moto ma forse per farmi contento, viste tutte le attenzioni che le
donavo, si è sentita in dovere di salirci. Quando correvo si stringeva forte e,
anche se non ci siamo baciati, provavo qualcosa di bello, un brivido per tutto
il corpo e quindi correvo per farmi abbracciare. Un po’ mi dispiaceva ma in
fondo stavo bene nelle sue braccia. Tornammo di nuovo in comitiva, non nego che
ho provato a baciarla ma lei non era ancora sicura di ciò che voleva e quindi
bisognava rispettarla. Erano le due, due e mezzo circa, un orario in cui
rientravamo. Ci salutammo e tornai verso il mio rione, Traiano. Stavo in
compagnia di un mio amico il quale mi vedeva felice, parlai di ciò che avevamo
fatto durante il giro, di me che approfittavo delle sue paure per rubarmi un
forte abbraccio, ridevamo e scherzavamo. Arrivo verso la casa, mi accorgo che
ero quasi senza benzina, mi accostai verso una pompa di benzina. Appena fermo,
vedo dei lampeggianti blu, decisi di proseguire per paura che mi fermassero,
proseguii per la strada. Arrivato alla luce blu, mi accorsi che non ce n’erano
una, due, tre, ma un branco: non so descriverne il numero perché non mi misi a
contarli, ma qualcosa era successo di brutto. Sentii un’autombulanza, tante
persone in strada, andai verso casa, posai la moto e mi diressi verso la folla.
Non capivo niente, una folla impazzita; udivo parole di ogni genere: “E’ morto,
l’hanno sparato, era un bravo ragazzo”. Fermai un amico e mi spiegò l’accaduto:
“Un carabiniere l’ha ammazzato, prima li ha speronati, facendoli cadere e poi
ha esploso un colpo; sta all’ospedale.” Nessuno sapeva niente di preciso,
quando ad un tratto tra la folla spunta un motorino che era appena tornato
dall’ospedale: “E’ morto.” A morire era stato Davide Bifolco, un ragazzo di
sedici anni per non essersi fermato all’alt durante un inseguimento. Erano in
tre sul motorino, senza né casco né assicurazione; per paura di perdere il
motorino del padre di uno dei due ragazzi non si fermarono. Pochi minuti prima
ci fu un inseguimento ad un latitante ed era riuscito a scappare, i carabinieri
esaltati dall’inseguimento fallito per la fuga del latitante, avevano la vista
abbagliata tanto da vederlo dappertutto con una pistola col colpo in canna, pronti
a spararlo se avessero avuto l’occasione. Le persone che avevano assistito al
tragico episodio erano scosse perché non capivano come un carabiniere spara
dopo averli speronati facendogli fare un volo di circa cinque-sei metri.
Passano le tre e la folla inferocita aggredisce i carabinieri, mazze, pietre,
bottiglie, brutte parole a non finire. Era una notte come tante dove con amici
ti fai un giro in moto ti bevi un drink, fai una partitina di bigliardino nelle
periferie di Napoli come in tante altre periferie – nei mesi estivi c’è tanta
vita di notte. La paura che un padre non ti perdonava per esserti fatto
sequestrare un motorino è costata la vita a uno di loro. Il dolore di una mamma
chiamata a casa per dirle: “Suo figlio è morto, è stato ammazzato.” Un padre e
una famiglia scossa. Un trauma incancellabile, un vuoto che niente e nessuno
può colmare. Un giorno, anzi una notte indimenticabile, dove non sai dove
prendere la forza per affrontarlo. Tanta solidarietà, tante persone vicine, ma
per una mamma è come vivere in una bolla dove non ascolti, non vedi, dove tutte
le colpe cadono su di essa: perché non l’ha fatto rientrare? perché non
gliel’ha imposto? Non possiamo immaginare quante volte se l’è chiesto: perché
da un suo racconto, Davide dieci minuti prima dell’accaduto era passato da casa
per prendere un cappello e per dire che andava a giocare una partita di biliardino
e rientrava a casa. Un papà che era fuori per lavoro chiamato per farlo rientrare,
per annunciargli la brutta notizia, che lui, mentre torna in autostrada, per
radio ascolta la tragica notizia. Non avvisato prima per paura che corresse in
autostrada, lo scopre per radio rischiando la morte per correre a casa. Un
carabiniere che per tutta la vita avrà questa spina nel fianco, un dolore anche
per lui, che si porterà per tutta la vita. Uno sbaglio costato la vita di un
sedicenne incensurato, bello e buono come il pane. Due fratelli e una sorella,
tutti più grandi di lui, era il viziato, il piccolo di casa. Nessuno avrebbe
mai immaginato il finale. Davide sognava di diventare calciatore ed io,
conoscendolo, posso dire che lo sarebbe diventato, era bravissimo a giocare.
Tanti i suoi sogni nel cassetto, talmente tanti che li spostava nell’armadio,
non entravano nel cassetto. Un sorriso sempre stampato in faccia pieno di vita.
Serate passate insieme agli amici che ancora oggi non si dimenticano. Amava la
vita più di ogni essere umano, non voleva passare un secondo senza viverlo.
Tante ragazze tanti amori, l’ultima, una ragazzina quasi coetanea, di quindici
anni, la chiamava principessa, perché, oltre a vivere, sognava: sognava una
vita serena da grande con un lavoro, che se non era un calciatore sicuramente
trovava qualcosa da fare per non dare fastidio ai genitori che non avevano
tanti soldi e lui capiva al punto da lavorare tre volte a settimana in una pizzeria
e la domenica mattina come aiutante in un centro Snai dove si giocano bollette,
schedine, sempre legate al calcio, la sua grande passione. L’età non conta di
fronte alla morte; se in quell’istante c’era un altro ragazzo più piccolo o più
grande sarebbe stato sempre lo stesso. Il destino ha scelto così per lui, una
bravata, una delle tante nei quartieri difficili, dove i carabinieri, la
polizia sono i cattivi perché si prendono i motorini se li guidi senza casco e
se il casco lo metti ti fermano non i carabinieri, ma gente che vive tra noi:
“Oh, Oh, Oh, togliti il casco che m’impressiono, ti sparo addosso”, frase
tipica del sistema, gente che di notte cammina armata per difendersi dal nemico
e imbottiti di alcool o droga, cocaina, si esaltano mettendo in mostra la loro
forza, sparando in aria contro bidoni della spazzatura e, se “sgarri”, anche
addosso a te che non hai ubbidito all’ordine perché se qualcuno vede che non li
ascolti possono pensare di farlo anche loro e, quindi, vieni punito anche per
far vedere la loro spietatezza e forza. Gente che non sono capaci di perdonare
uno sgarro. La vita non vale tanto in queste zone di periferia di Napoli…»
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