sabato 24 novembre 2018

Gli amori regalati di O. Talarico e i Tredici gol di Ettore Castagna






«Quell’autunno del 1928 se lo ricordano tutti per una delle annate più fruttuose del secolo. L’olio pareva volesse uscire dalla pietre tanto ne era stato prodotto. Le donne del posto lo usavano per ammorbidire la pelle dei neonati, per conservare sazizze, limunciane, cucuzzelli e finci, gli uomini per lubrificare le ruote dei carri. I muri erano impregnati d’olio, odoravano di frittura. A casa mia quel tanfo mi costringeva a volte a trattenere il respiro, mi entrava nelle narici, facendomi passare anche la voglia di mangiare. Del primo periodo trascorso a Caccuri non ricordo altro se non quella puzza. Ci volle del tempo e solo con l’andare degli anni imparai a conoscere lo struggente canto degli ulivi calabresi.»

Martino Aiello – nato a Fondo Margherita «proprio al confine fra Crotone e il comune di Strongoli, nel mese di luglio del 1919, in un immenso palazzo prima del mare» – trova presto a Caccuri, dove il padre funzionario comunale è stato trasferito, il suo luogo dell’anima: «Non che avessi dimenticato Crotone, il mare, Capocolonna, per non parlare del clima mite… avevo, però, finalmente capito che era giunto il momento di scegliere un posto e farne il cardine della mia vita…. Tutto a Caccuri sapeva di me, o meglio, ero io che incominciavo a prendere i sapori di Caccuri.»

Fa presto amicizia con Tomaso Chiarello, intelligente e sfuggente, «vampa, stimolo, ma anche segreto, verità celate», Giovanni Pignanielli, pastore e amante dei libri, e ‘Ntriella, che diventerà, poi, suo cognato. La vita di Martino s’intreccia profondamente con quella dei suoi amici, mentre il fascismo, cui si sente del tutto estraneo, si rafforza: «In quegli anni, mi accadeva di ascoltare il paese penare, di sentire il cuore della gente patire, il respiro di chi mi passava vicino diventare sempre più affannato. …Una sofferenza dignitosa, incollata sulle facce di padri svigoriti, con le mani indurite da terre mai troppo generose, zappone sulle spalle e bisaccia quasi vuota.» Neppure il rapporto non semplice col padre toglie a Martino una grande serenità: «Ero circondato da persone che amavo: tutto davanti a me aveva il sapore buono della terra, ricco di un aroma in attesa di essere acchiappato con le mani aperte.  (…) E fu così ancora per alcuni anni, poi la realtà assunse colori che neanche la nottata più lunga sarebbe stata mai capace di farmi vivere.»

È l’inatteso viaggio che porta Martino, ormai quasi ottantenne, a Buenos Aires per l’apertura del testamento di Tomaso a fargli ripercorrere l’esistenza sua e dei suoi amici, sbrogliando, finalmente, gli oscuri intrighi che li intrecciano alla Calabria povera e fascista e, poi, alla Calabria «che a fatica si allontanava dalla miseria. Ci si stava incamminando sulla strada del benessere, anche se ancora incanto e rinunce si attorcigliavano nelle stesse vituzze, alternandosi, metro dopo metro», alla Germania nazista e all’Argentina della fine dei anni Novanta.

Amori regalati di Olimpio Talarico, pubblicato da Aliberti, è, insieme, un memoir, che dà spazio alla memoria emotiva del protagonista, un noir teso a svelare due omicidi che segnano la vita di Martino e dei suoi compagni, e un appassionato omaggio ad un piccolo paese della Sila: «Non mi resta altro da fare che pensare e immergermi nelle strade deserte di Caccuri, con l’aria dolce, le montagne da una parte e il mare dall’altra, i giorni e le notti straripanti di silenzi profumati, i crepuscoli con le ombre … A Caccuri apparentemente non succede nulla, ma non appena metti il naso fuori dall’uscio di casa resti imprigionato da esistenze che si incrociano senza incontrarsi. Perché le gioie, gli affanni restano nell’aria e sull’asfalto per giorni interi. I pensieri svolazzano sui sanpietrini e poi raggiungono la torre del castello e da lì planano sulle teste di chi è pronto ad accoglierli. Perché tutto a Caccuri si mescola, frammenti di vita arrivano con forza nelle vite degli altri e così non si è mai soli, nonostante le strade siano deserte, quasi abbandonate.»

Ancora di più, Amori regalati è un libro sulla straordinaria forza delle donne, con gli sfaccettati ritratti di Marietta e Marta, e sull’amicizia, sulle sue ragioni che, come dice Marietta a Martino, sono più forti e misteriose di quelle dell’amore: e vincolano non solo oltre il tempo, ma anche oltre la stessa coscienza del bene e del male.





«Vivevo a Catanzharu dove non avvenne mai nulla. Così dicevano i miei amici e tutti i miei parenti. Cca ‘on c’è nenta. A Cosenza non ci fu mai nenta, a Riggiu pu pu pu pu pu pu pu…E anche dopo non avvenne mai nulla. Così è destinato. Pure ora a Catanzharu non succede, non succederà mai nulla. Nulla, a parte Massimeddu.»

Massimeddu è Massimo Palanca, ala sinistra della locale squadra di calcio, che tra il 1974 e il 1981 segna tredici gol su calcio d’angolo: «La palla parte, vola, sta in aria un poco, poi gira, gira di un modo che non si può dire, gira che pare che va da un’altra parte. Ma poi gira giusto. Giusto e non sbagliato. Ed entra.» Riesce a farlo perché, in ore e ore di allenamento solitario, impara a sfruttare il vento: «In questa città il vento non manca mai. Quando lo trovi un amico caro? Quando non tira vento a Catanzharu. Poi ci sono quelli che si sono applicati e hanno fatto una versione poetica: Trovare un ver’amico è tanto raro com’un dì senza vento a Catanzharu. Doppio endecasillabo a maiore di tipo giambico, rima baciata, accenti su seconda, sesta, ottava decima sillaba.»

Riferimento mitico di una città e di una regione ai margini della storia nazionale, simbolo di riscatto sociale e di possibili cambiamenti rivoluzionari, Massimeddu diventa l’immaginario confidente di Vito Librandi, da ragazzino appena trasferitosi con la famiglia in una casa da cui si vede un pezzo di stadio a giovane post liceale.

Nel quotidiano, surreale, colloquio interiore con il suo mito, Vito trasforma la sua esperienza di ragazzo di provincia in una sorta di leggenda minore della profonda trasformazione che l’Occidente stava vivendo.

L’epopea dell’uomo-gol – «C’è tutto in quella palla. Il genitivo, l’ablativo e il dativo. Ogni tipo di complemento e in particolare il moto a luogo» – è il contrappunto di una crescita che, dopo un’infanzia normale e la grande fatica dei due anni di ginnasio (tipica di chi ci arrivava da una situazione sociale-culturale non agiata), s’interseca con le due grandi correnti dell’Occidente contemporaneo: il movimento femminista e il movimento autonomista, non esente, quest’ultimo, da legami col terrorismo.

Ettore Castagna in Tredici gol dalla bandierina, edito da Rubbettino, descrive quell’epoca di forti trasformazioni socio-culturali, di grandi illusioni e altrettante grandi delusioni dando un’immagine della Calabria molto lontana dagli stereotipi. Il liceo Pasquale Galluppi di Catanzaro (città molto poco raccontata: un eccesso di silenzio che questo libro riscatta) diventa, nel testo di Castagna, un laboratorio di trasformazioni generazionali, culturali, sentimentali, non diversamente da quello che accadeva, negli stessi anni, nei licei di città molto meno periferiche.

Una frattura storica che resta, però, ampiamente irrisolta. Vito Librandi ne esce malconcio sul piano politico e su quello sociale. Dopo il liceo, mentre molti dei suoi compagni vanno all’università lontano dalla propria terra, Vito finisce come improbabile venditore di corredi, girando con una vecchia macchina nell’entroterra calabrese. Ancora di più gli pesa la ferita sentimentale, l’essere scaricato da Luisa dagli occhi verdi, «No, forse ha gli occhi azzurri. Come ha gli occhi Luisa non lo so dire», che «si veste come tutte le compagne femministe, con le gonne a fiori e con le camicie larghe e gli zoccoli ai piedi. Però a me sembra completamente diversa». Lei che gli aveva ripetuto: «Io pure questo ti volevo dire, che sei diverso. Mi sento accolta come donna. Tutti si avvicinano per quell’altro motivo, tu no. Tu sei dolce, hai rispetto, voglio la tua amicizia», e per la quale era diventato comunista: «Luisa l’ho vista al PdUP anche se è una compagna del movimento. Partito di Unità Proletaria per il Comunismo. Ci vuole menza jornata a dirlo ma a mmia non mi interessa. Io vado per Luisa perché l’ho vista fuori il Galluppi che vende il Manifesto e pure Lotta Continua e tutti i giorni le compro il Manifesto oppure Lotta Continua.»

Metafora e termine di paragone delle sue sconfitte, la cessione di Massimeddu: la squadra del Catanzaro ci guadagna in soldi, ma perde la sua anima.

Libro di pregevole leggerezza ed ironia, dal tono surreale, venato da un sotteso sentimento agrodolce, con un linguaggio che ricalca le modalità dell’epoca, abilmente impastato di termini dialettali e parole inglesi trascritte come si pronunciano, Tredici gol dalla bandierina, è uno dei più bei libri pubblicati in Italia sulla poetica del calcio. Ma è soprattutto l’autobiografia di una generazione che, anche in un luogo periferico del Sud considerato marginale, provò a fare dei propri sogni realtà. Una generazione per la quale, nonostante tutti i limiti e le delusioni, gli anni Settanta restano anni d’oro e non di piombo.


 


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