Avi
cchiù iorna ‘ca ruppa ‘i satizzu. (Ci sono più giorni che
nodi di salsiccia, ovvero: I momenti felici sono pochi)
Margherita era figlia –
meglio: nipote – di una civiltà contadina che, sperimentando costantemente di
essere di passaggio in una valle di
lacrime, sapeva godere con semplicità e in pienezza dei momenti di gioia
donati dalla vita.
Eppure, li aveva sempre
vissuti col cuore frenato, come un prestito da scontare caro: come se la
felicità fosse una sorta di hybris che suscitasse la vendetta degli dei.
Solo con l’avanzare del
tempo, al giro di boa tra la maturità e l’anzianità, stava imparando a
respirare in pace l’azzurro dei momenti perfetti, quelli in cui un evento, un
incontro, una notizia, una lettura o una passeggiata nel verde la colmavano di
gratitudine e bellezza.
Camminava, in quel
tramonto dorato di azzurri e di rosa, col cuore accelerato da un caffè tardivo ma assaporato
con gusto, sentendo il piacere delle gambe che si muovevano spedite e l’aria
che scorreva libera nelle narici. E sorrideva a se stessa, cercando le parole
giuste per parafrasare la Yourcenar: stava accumulando grano per far fronte
agli inverni dello spirito.
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