Dopo un concerto di
musica sacra barocca a San Marcellino e Festo, andiamo a mangiare in una osteria poco distante, dove non eravamo
mai stati. È la prima sera di freddo che prelude all’inverno ed è piacevole
entrare in un luogo tiepido ma senza sgradevoli odori di cucina, accolti con gentilezza e dove i tavolini
sono rallegrati da colorati piatti di ceramica. Mangiamo genuino e rapidamente, con il
sottofondo della giovane padrona che racconta, ad una tavolata di amici, come
proprio il tavolo cui siamo seduti noi è quello
di Gassman. Già, scopriamo, l’osteria
è quella della Letizia dei Bastardi di Pizzofalcone.
La signora, le mani che
si muovono veloci, i capelli neri che le scendono all’altezza delle spalle,
nella voce l’orgoglio allegro che in
tutte le sei puntate c’è il locale, vedete
Letizia esce da lì, pure mia figlia c’è, narra come e perché la sua osteria è stata scelta per le riprese,
come e quando sono avvenute. Si sofferma sui particolari, a partire di come l’attrice
che interpreta Letizia è stata qui un
mese a vedere come proponiamo i piatti, a imparare come si seduce un uomo
proponendogli uno scarpariello. Qualcuno prova a stuzzicarla sul seguito della fiction: chi è morto nello scoppio dell'ultima puntata, lei svicola e parla della fatica e il divertimento
di fare televisione. Uno spettacolo lei stessa: molto gradevole.
Non ci resta, tornando a
casa, che andare a rivedere qualche stralcio dei Bastardi per verificare se,
adesso, siamo in grado di riconoscere il nostro
tavolo. Sì, è proprio quello.
Professoressa, analoga esperienza. Ma, al contrario della sua, Gassmann è venuto da noi. Le scene ambientate in ospedale sono nel PS che dirigo al CTO, e parte dei figuranti sono medici ed infermieri veri. Abbiamo imparato tanto dagli attori (penso al mitico Gianfelice Imparato) e dal regista Alessandro D'Alatri. Lezioni involontarie di leadership per che, come me, registra quotidiane scene di storie involontarie. A presto a Nisida.
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