Foto tratta dalla pagina fb dell’IC Cassiodoro-don Bosco di Reggio Calabria |
Qualche
anno fa, nel 2016, scrissi (e ringrazio ancora chi me lo propose) un raccontino
per Centrifuga, un libro, edito da Sinnos, che voleva
mettere al centro i ragazzini di periferia.
Il
mio Ciccio lo collocai nel mio paese
(di nascita e di cuore, anche se non di vissuta quotidianità), e immaginai che
la svolta, per lui normale ragazzino
di terza media, avvenisse con la scoperta
dei libri.
Ho
ripensato al mio Ciccio in questi
mesi, in cui la scuola di Pellaro, guidata da Eva Nicolò, è riuscita ad essere
all’altezza di una situazione da tutti imprevista.
Che
la scuola – intendo la scuola nel suo complesso, in tutto il territorio
nazionale, con tutto il carico di problemi antichi irrisolti – sia riuscita a fare lezione e, in taluni casi, a farlo
in maniera eccellente non era scontato: anzi, diciamolo, sfiora il miracolo.
Ciò non toglie che una parte almeno dei ragazzi, quelli più periferici (per situazioni ambientali,
familiari, economiche, psicologiche ecc. ecc.), ne sia rimasta fuori, o, al massimo ai margini. E che, di conseguenza, si
riparta – quando e come si ripartirà – con una più accentuata povertà educativa, con una marginalizzazione culturale che rischia
di mettere fuori gioco un bel po’ di ragazzi, spingendo anche all’evasione
scolastica (di fatto, se non numericamente registrabile).
Che
fare? Avrei una proposta. Per almeno due o tre settimane, alle elementari e alle medie, lasciamo da parte i
programmi e facciamo scuola raccontando storie: racconti, romanzi, storie di
ogni genere, di…storia, di geografia, di scienze, di numeri ecc. ecc. E, di
queste storie, facciamo disegni, reportage fotografici, video, podcast, tutto il digitale possibile e immaginabile.
Diamo
la possibilità ai ragazzi di raccogliere, ammassare parole. Perché,
parafrasando Marguerite Yourcenar, hanno bisogno di granai di pensieri per
ricominciare.
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