Il 17 maggio 1981, al referendum, votai per il
mantenimento della legge sull’aborto passata in Parlamento tre anni prima. Ero
incinta e, dopo mesi di letto-letto, passavo stesa più del novanta per cento
del mio tempo. Fu una fatica raggiungere il seggio. Ma non credo d’aver mai
mancato un voto (se non per scelta, in altri referendum, che mi è sembrato il
caso di contribuire a far decadere).
A me, la parola aborto provoca un
rimescolamento dello stomaco. Fa parte di quelle che andrebbero fatte cadere
nel cestino del dimenticatoio, come mali del passato che l’umano sviluppo ha
reso desueti.
Ero convinta che la legge, con l’applicazione della
sua prima parte, quella “a favore” della maternità, avrebbe agito in questo
senso, limitando l’aborto a sporadici casi di triste necessità (violenza
sessuale sulla donna; serissimi pericoli di salute).
Non è accaduto questo, a giudicare dalla periodica
levata di scudi a difesa del “diritto d’aborto” con l’annessa accusa a questo o
quest’altro di “mettere in discussione” “un diritto”, inserito tra quelli
“fondamentali”
È anche che possibile che, di fatto, qualcuno – non potendo
per ovvie ragioni mettere in discussione la legge (se si rifacesse un
referendum, ripasserebbe a furor di popolo) – cerchi di renderne l’applicazione
un po’ più complicata.
Il che vuol dire che la legge è tuttora molto
richiesta. (Ha ridotto il numero degli aborti? O li ha aumentati? Non lo so, la
mia idea è, comunque, di una banalizzazione di questa che da scelta
drammatica è diventata via via, nell’immaginario collettivo, un’opzione
come un’altra).
Ora, a più di quarant’anni dalla sua entrata in
vigore, con lo sviluppo scientifico che si è avuto in questi decenni, con l’esponenziale
diffusione di informazioni – è mai possibile che non si riesca, volendo, ad applicare
un normale controllo delle nascite? (Sono convinta che, se si volesse, se
si investisse in questo campo, gli stessi metodi naturali avrebbero un tasso
di sicurezza totale, oltre che non provocare nessun effetto collaterale). È mai
possibile che siamo ancora a questo punto con l’educazione
sentimentale-sessuale?
Ci sarebbe un’altra, e molto più difficile, domanda:
ma siamo proprio sicure, noi donne, che il “diritto all’aborto” sia di quelli
che ci hanno “liberato”?
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