mercoledì 17 giugno 2020

Se dopo quarantadue anni siamo ancora a questo punto





Il 17 maggio 1981, al referendum, votai per il mantenimento della legge sull’aborto passata in Parlamento tre anni prima. Ero incinta e, dopo mesi di letto-letto, passavo stesa più del novanta per cento del mio tempo. Fu una fatica raggiungere il seggio. Ma non credo d’aver mai mancato un voto (se non per scelta, in altri referendum, che mi è sembrato il caso di contribuire a far decadere).

A me, la parola aborto provoca un rimescolamento dello stomaco. Fa parte di quelle che andrebbero fatte cadere nel cestino del dimenticatoio, come mali del passato che l’umano sviluppo ha reso desueti.

Ero convinta che la legge, con l’applicazione della sua prima parte, quella “a favore” della maternità, avrebbe agito in questo senso, limitando l’aborto a sporadici casi di triste necessità (violenza sessuale sulla donna; serissimi pericoli di salute).

Non è accaduto questo, a giudicare dalla periodica levata di scudi a difesa del “diritto d’aborto” con l’annessa accusa a questo o quest’altro di “mettere in discussione” “un diritto”, inserito tra quelli
“fondamentali”

È anche che possibile che, di fatto, qualcuno – non potendo per ovvie ragioni mettere in discussione la legge (se si rifacesse un referendum, ripasserebbe a furor di popolo) – cerchi di renderne l’applicazione un po’ più complicata.

Il che vuol dire che la legge è tuttora molto richiesta. (Ha ridotto il numero degli aborti? O li ha aumentati? Non lo so, la mia idea è, comunque, di una banalizzazione di questa che da scelta drammatica è diventata via via, nell’immaginario collettivo, un’opzione come un’altra).

Ora, a più di quarant’anni dalla sua entrata in vigore, con lo sviluppo scientifico che si è avuto in questi decenni, con l’esponenziale diffusione di informazioni – è mai possibile che non si riesca, volendo, ad applicare un normale controllo delle nascite? (Sono convinta che, se si volesse, se si investisse in questo campo, gli stessi metodi naturali avrebbero un tasso di sicurezza totale, oltre che non provocare nessun effetto collaterale). È mai possibile che siamo ancora a questo punto con l’educazione sentimentale-sessuale?

Ci sarebbe un’altra, e molto più difficile, domanda: ma siamo proprio sicure, noi donne, che il “diritto all’aborto” sia di quelli che ci hanno “liberato”?

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