mercoledì 27 novembre 2019

Piccole storie da Nisida: Il leggio






Dicono che nome e persona sono la stessa cosa. Non è vero. La maestra Cassandra non profetizza sciagure. Quando tutto va male, ride: Tutto a posto. Fosse stato per me, avrei levato mano da prima di subito. Lei no. Mesi di ottovolante prima di arrivare a questo pomeriggio. Io urlerei anche adesso, lei non fa una piega.

Vittorio, la parte, la sa molto bene. Fino a ieri sembrava sicuro di sé: i gesti giusti, il tono sciolto, l’espressione naturale. Ora, si rifiuta di fare l’ultima prova. Che, poi, è un’ultima prova che, dopo un’ora, si andrà in scena davvero. Non è la prima volta che Vittorio fa così: arriva a un passo dalla realizzazione e si ritira. Come se avesse un fuoco dentro che gli si spegne all’improvviso, lasciandolo in un buio che non può fare un passo. Si va a sedere in un angolo e respinge i due, tre compagni che s’avvicinano per convincerlo a recitare: Lasciatemi in pace.

Valeria finge più ansia di quella che prova, gli occhi allargati, il respiro trattenuto. Chiede di poter fumare, recita preoccupazione. Mi tremano le gambe. Più s’affanna, più si sente scendere nel ruolo della protagonista. Lo sa: anche questa volta farà vibrare gli spettatori.

La maestra Cassandra ridispone le posizioni di partenza: Kevin, tu vieni da destra. Aspetta che Luigi esca, prima devi fare due passi, poi ti avvicini… Elena a sinistra di Angelica… Spostate quel tavolino più al centro. Quel leggio, a sinistra… Ecco, mettici sopra i fogli, Luigi ricominciamo…

Luigi mi si avvicina, dispone i fogli, li aggiusta. Sarà lui a presentare e fare da collegamento tra le scene. Tre mesi fa era un perfetto baccalà. Un leggio, dove si posano testi di Eduardo e di Shakespeare, non dovrebbe usare termini così, lo so. Ma non ne trovo uno più adatto. Uno spilungone dalle spalle curve, che non sapeva dove tenere le braccia, lo sguardo a metà tra perso e annoiato, un tono piatto e lamentoso. Le prime volte avrei voluto urlare alla maestra Cassandra che non era giusto sottopormi allo strazio della sua lettura. Avanzava già il balbettio di Genny e Raffaele che metà delle parole se le mangiava. Ma ha avuto ragione lei. Ora, Luigi, le spalle dritte, il petto in fuori, ha tirato un bel respiro profondo e ha cominciato: rispettando le pause e azzeccando i toni. Quasi tutti. Guarda davanti a sé, senza leggere. Ha imparato a memoria, e i fogli davanti gli servono solo a evitare il panico del e se mi dimentico?

Intanto, con un piccolo effetto domino, Francesco ha preso il ruolo di Gaspare e Gaspare quello di Vittorio e il ruolo di Francesco è stato annullato. La maestra Cassandra i testi li compone e scompone continuamente: senza fare una piega. A Gaspare piace avere un pubblico, come se stare su un palco lo risarcisse d’un’infanzia passata da invisibile per strada. Che, nel cambio, abbia guadagnato una decina di battute in più, lo manda su di giri: il battito accelerato del cuore lo fa sentire libero più del vento, almeno per un po’.

Alessio, che ha il ruolo principale – poche battute più di Vittorio/Gaspare – arriva quando la prova è iniziata da un pezzo, con addosso l’odore di fritto. È il più bravo del laboratorio di friggitoria, c’erano arancini e frittatine di pasta da preparare per il dopo teatro. Era uno agitato, pronto a fare tarantelle ogni momento, ora s’è come placato. Quanto Gaspare crea intorno nervosismo, tanto Alessio rasserena. Anche Vittorio lascia il suo angolo, dice che reciterà. 

Ok – dice la maestra Cassandra – ma prendi il ruolo di Gaspare.

Non sarà l’ultimo cambiamento in quest’ora prima di andare in scena. Qualcun altro, all’ultimo, si ritirerà e la maestra Cassandra lo sostituirà. Tutto a posto.

Andrà tutto bene. Va sempre tutto bene. Gli spettatori si commuoveranno. Per i ragazzi: Come recitano bene. Ma, anche per loro stessi. Si sentiranno migliori perché, stasera, sono stati qui. Come se avessero percepito un pizzico di verità. Che, di tutti i luoghi, il teatro è il luogo dove meno si recita. Si è nudi. Con i propri fantasmi. Spettatori compresi.

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