mercoledì 6 novembre 2019

Piccole storie da Nisida: Il cuscino

Immagine dal web



Ho un mal di testa che non vi dico. Vorrei poterla mettere su un cuscino, la mia testa, coccolarmi nel morbido dell’imbottitura e dormire per giorni e giorni fino a svegliarmi senza più dolore né ricordi. Ma: sono io, il cuscino. Intriso di pensieri.

Di giorno, i pensieri si rammendano (anche) di fili azzurri e verdi. Ma di notte sono grovigli. Confusi. Inquieti.

Il primo a mettermi la testa addosso è stato Vincenzo. Dormiva poco, si girava tanto. Aveva accoltellato un ragazzo, avevano litigato per una scommessa, non lo voleva uccidere: pensava che, colpendolo alle gambe, l’avrebbe solo ferito. Quel sangue gli riempiva gli occhi ogni volta che cercava di chiuderli e, per non vedere, li spalancava forte. Il secondo è stato Francesco: aveva anche lui un tentato omicidio sulle spalle, il suo sonno era turbato dalla salute della madre: proprio il giorno che era finito in carcere, a lei avevano diagnosticato un cancro molto aggressivo: non poterle stare accanto, ora che lei aveva poco da vivere, lo faceva impazzire. Poi era stata la volta di Carminuccio, che, di dormire, dormiva: benedette pastiglie che placavano l’ansia di una mente che sembrava un temporale continuo con tuoni, fulmini e scrosci di grandine grande come sassi. Giuseppe si logorava col pensiero di Anna: che era andata ad abitare con sua madre e le sue sorelle (non c’erano uomini nelle due famiglie, stavano tutti sparsi in varie carceri) e scendeva solo con loro. Ma lui non si sentiva tranquillo, la gelosia lo macerava, le continuava a fare domande, a dare ordini. Se gli davano una condanna lunga – aveva detto – l’avrebbe sposata: così, forse, stava più tranquillo. Fortuna che il giudice l’aveva mandato in comunità. Da dove era arrivata una lettera al suo amico Aniello: con Anna s’erano lasciati, anzi lui l’aveva lasciata: non perché lei l’avesse tradito, ma perché non tollerava il pensiero che, magari, sarebbe potuto succedere. Antonino s’addormentava subito, ma poi si svegliava di notte per sogni che lui non ricordava ma continuavano a rimbombare nelle mie fibre: sparatorie, inseguimenti, poliziotti, scale che si staccavano dai muri, pavimenti che sprofondavano e mari che s’aprivano come voragini. Ciro si metteva a letto per ultimo e cercava di non dormire. Qualsiasi rumore, qualsiasi ombra gli dava un fremito di paura. Meglio restare sveglio che, preso alla sprovvista, farsi accorgere spaventato dai fantasmi. Pasquale non arrivava a letto che già quasi russava, tranquillo, quieto: l’hanno cambiato presto di reparto. Luca programmava il futuro: ormai, alla quinta volta in carcere in tre anni, aveva imparato che, quella vita, non era cosa: perciò, era determinato a fare il colpo. Non più tarantelle, ma una cosa grossa: la banca più grande della città o, almeno, il gioielliere più importante: ogni sera aggiungeva un particolare e si addormentava più sicuro che sarebbe diventato ricco sfondato e nessuno l’avrebbe preso. Ma, s’è fatto prendere e, adesso, sta in un carcere per adulti. 

Ieri sera ero proprio contento. Il mio letto era rimasto vuoto e già mi sognavo una notte di sogni lievi, oppure niente sogni ma sonno tranquillo, o anche niente sonno, ma ore senza pensieri: spensierate. Ero troppo eccitato per chiudere occhio, la testa continuava a farmi male, ma assaporavo una quiete morbida. Mi sentivo in un nido di piume.

A notte fonda, è arrivato Ivan. Non ho capito che cosa abbia fatto, perché sia finito qui. Ha compiuto quattordici anni l’altro ieri. E piange. Mi ha bagnato tutto, mentre in testa, in un buio fitto, gli passava e spassava una sola frase: Ma che ho fatto? 

L’umidità ha moltiplicato il mio mal di testa. Troppo. Come in una ninna nanna, all’alba, mi sono acquietato nel conforto di chi so che, adesso, ha una vita che non lo riporterà mai da me. Ripasso i loro nomi, ne rivedo i volti e  ne ripenso i pensieri. Ascolto il vento, che qui soffia forte, e il mare. Il rumore del mare si sente anche quando è immobile. Bello, sempre. Di più, quando c’è tempesta: sembra che, se ogni cosa si frantuma, tutto si rinnova. 


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