«Mia mamma avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri spagnoli
mia mamma cammina veloce: ogni passo suo, due dei miei. (…) Mia mamma avanti e
io appresso. Dove stiamo andando non lo so, dice che è per il mio bene. Invece
ci sta la fregatura sotto, come per i pidocchi. È per il tuo bene, e mi
ritrovai con il mellone.»
Amerigo Speranza ha quasi otto anni. Non ha mai conosciuto il padre (la
madre dice che è andato a cercare fortuna in America e che tornerà ricco, ma
nessuno l’ha mai visto) né il fratello, morto prima della sua nascita. Sua
madre, Antonietta, si arrangia come sarta e conservando sotto il letto il caffè
del piccolo mercato nero di un uomo che frequenta casa, Capa ‘e fierro. A
scuola è andato per poco tempo, prendendo molte scoppole dalla
maestra, ma nel vicolo lo chiamano Nobèl perché, in strada, ha imparato tanto.
Raccoglie stracci nelle case e nella mommezza e con il suo amico
Tommasino ha organizzato la vendita delle zoccole con la coda tagliata
e «pitturate di bianco e di marrò con la vernice per le scarpe» come fossero
criceti finché una pioggia battente ha svelato il trucco.
Ha un modo tutto suo di farsi compagnia: «Guardo le scarpe della gente.
Scarpa sana: un punto; scarpa bucata: perdo un punto. Senza scarpe: zero punti.
Scarpe nuove: stella premio. (…) sommo i punti delle scarpe per far passare la
paura. Conto sulle dita fino a dieci, succederà una cosa bella, così è il
gioco. La cosa bella fino a mo non mi è mai capitata, forse perché ho contato
male i punti.»
La camminata nei vicoli con la madre è il preludio di un grande cambiamento
nella sua vita. Amerigo parte, con tanti altri bambini, alla volta dell’Emilia
Romagna. Dove ci sono la nebbia e la neve (scambiata, la prima volta, con
palline di pane che scendono dal cielo e ricotta sparsa sulla strada) e tante
famiglie che li accolgono.
Amerigo capita, nel modenese, con Derna, sindacalista che vive sola, ma è
vicina di casa della cugina Rosa, di suo marito Alcide e dei figli, Rivo, Luzio
e Nario, che, chiamati insieme, fanno: rivo-luzio-nario. Scopre il sapore della
mortadella, del parmigiano, della cioccolata, i regali per il compleanno e la
festa per Babbo Natale e la Befana, il lavoro dei campi e l’allevamento degli
animali. Va a scuola, comincia a lavorare nella bottega di Alcide, che diventa
il suo «babbo» e a suonare il violino. Apprende un'altra lingua e, con essa, un
altro mondo: «Pure qua nell’Alta Italia già mi sono fatto conoscere da tutti
quanti, dal verdummaro, che però si chiama fruttivendolo, dal chiancière, che
si dice macellaio, dallo zarèllaro, che per loro è il merciaio; che ci sono dei
mestieri di giù che qua invece non esistono proprio, come l’acquafrescàio e il
carnacottàro.»
Quando torna a Napoli, dalla madre, non ci si ritrova più: scappa per
tornare nella famiglia dove aveva trascorso un inverno diverso da quelli della
sua prima infanzia.
Il treno dei bambini di Viola Ardone, recentemente edito da Einaudi
– caso editoriale dell’ultima fiera di Francoforte e in corso di traduzione in
25 paesi – parte da un fatto storico. Nel secondo dopoguerra, su iniziativa del
Partito comunista e in particolare dell’Udi, Unione Donne Italiane, ben 70.000
bambini del Sud e, soprattutto, di Napoli vennero trasferiti in Emilia Romagna:
un “affido” temporaneo di alcuni mesi che salvò un’intera generazione dalla
miseria e dalla fame.
Nel libro sono presenti alcune figure che ebbero un ruolo
nell’organizzazione di quel trasferimento di massa come Maurizio Valenzi, poi
sindaco di Napoli, e Gaetano Macchairoli, in seguito raffinato editore, e trova
voce un giovane biondo, Guido Piegari, successivamente espulso dal Pci, che
«ogni due e tre dice: questione meridionale e integrazione nazionale»
(lasciando nel dubbio il nostro protagonista ormai cresciuto se «l’ha risolta
poi quella questione meridionale.»)
Si sente, nelle pagine di Viola Ardone, l’impatto forte che quel movimento
suscitò: «Da quando si è saputo il fatto dei treni, dentro al vicolo abbiamo
perso la pace. Ognuno dice una cosa diversa: chi sa che ci venderanno e ci
manderanno all’America per faticare, chi dice che andremo in Russia e ci metteranno
nei forni, chi ha sentito che partono solo le creature malamenti e quelle buone
se le tengono le mamme, chi non se ne fotte proprio e continua come se niente
fosse, perché è ignorante assai.» E la fatica a far accettare alle madri una
tale separazione («Quando dovevamo cacciare i tedeschi, noi donne abbiamo fatto
il nostro. Mamme, figlie, mogli, giovani e vecchie: siamo scese in mezzo alla
via e abbiamo combattuto. Voi ci stavate, e ci stavo pure io. Questa è come
un’altra battaglia, ma contro nemici più pericolosi: la fame e la povertà. E se
voi combattete, vincono i figli vostri!», dice Maddalena Criscuolo, che ha
partecipato alle Quattro Giornate) e il dolore, spesso muto e scontroso delle
donne che intuiscono che far andare via i figli è un amore più grande che
trattenerli, e la disponibilità di tanti che aprono le loro case. («Quando c’è
la necessità, siamo tutti padre e madre di chi ha bisogno. E per questo vi
stiamo portando da persone che si prenderanno cura di voi e vi tratteranno
proprio come figli, per il vostro bene.») Per una forma di solidarietà politica
e sociale: «Siete tra amici che vi vogliono aiutare, anzi tra compagni, che è
più che amici, perché l’amicizia è una cosa privata tra due persone e può anche
finire. Tra compagni invece si lotta insieme perché si crede nelle stesse
cose»: «Non esistono Nord e Sud, esiste l’Italia.»
È una fortuna che arrivi un libro simile nell’Italia delle indagini di
Bibbiano e della ventilata autonomia regionale dei ricchi.
Ma Il treno dei bambini non è un saggio storico né un pamphlet
sociale e non trova il suo centro in una ideologia. È, semplicemente, un
romanzo: meglio, un grande romanzo. Se si vuole inserirlo in un genere, è un
romanzo di formazione. Per tre quarti di libro, il lettore vede e sente gli
avvenimenti attraverso lo sguardo e la voce freschi di un bambino ingenuo ma
non privo di malizia, non sempre capace di separare il reale e l’immaginario,
che lotta per la sopravvivenza senza cattiveria ma con una certa diffidenza nei
confronti degli adulti, perché ha già appreso che i grandi, almeno molti
grandi, non capiscono niente dei più piccoli.
Nella quarta parte del libro, il protagonista, quasi cinquanta anni dopo,
torna a Napoli dove farà i conti con il bambino che è stato, con l’uomo che è diventato
e con il maturo signore che sarà ancora, e di nuovo, Amerigo Speranza.
Se i protagonisti bambini nella nostra letteratura sono pochi (bellissimi
l’Arturo dell’omonima isola della Morante e il Michele di Ammaniti in Io
non ho paura, ma anche Lenù e Lila dell’Amica geniale della
Ferrante) ancora meno sono quelli che, fatto il viaggio di andata verso la
maturità, tornano, come gli eroi greci, nel luogo di inizio: l’allontanamento e
il ritorno per arrivare al sé più profondo e più vero. Amerigo Speranza, con i
tutti i suoi compagni, nonché la sua famiglia naturale e quella affidataria,
entra a far parte dei personaggi (piccoli solo per età) più belli della nostra
narrativa.
Romanzo tenero e forte, intenso e delicato, ironico, profondo con
leggerezza, Il treno dei bambini accompagna una trama sapientemente
semplice, la cui carica emotiva è trattata con sorvegliato equilibrio, con una
lingua affabulante, che fa rientrare nell’italiano cadenza e ritmo di un
napoletano antico, più dolce di quello attuale.
Lascia il cuore smosso e nello stomaco quel tipo di languore che danno le
lacrime trattenute di una commozione genuina e senza sdolcinatezze.
Un libro per tutti, adulti e ragazzi. Da leggere dovunque: a Sud e a Nord.
Nota personale: Viola Ardone è tra gli autori (uomini e donne) che hanno
partecipato al Laboratorio di Scrittura dell’IPM di Nisida. Lo farà anche
quest’anno. Uno dei racconti che ha scritto all’interno del Laboratorio
continua ad essere il più recitato dal Laboratorio di Teatro di Nisida. Ritrovare
Nel treno dei bambini, appena rielaborata, una frase di Roberto
Dinacci, posta nell’omonima aula dove il Laboratorio si svolge – «Tutto quello
che si può si deve fare» –è stata un’emozione in più.
Pubblicata su Zoomsud:http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/106353-le-recensioni-di-maria-franco-il-treno-dei-bambini-di-viola-ardone-einaudi
Su Zoomsud sono state recentemente pubblicate le seguenti recensioni:
Nessun commento:
Posta un commento