domenica 24 novembre 2019

Aspromonte: l'immenso fim di Mimmo Calopresti






Africo, fine luglio 2018. Nella tre giorni di Gente in Aspromonte, promossa dalla Regione Calabria – e, in particolare, dal presidente Oliverio – Pietro Criaco racconta come, da tempo, insegua Mimmo Calopresti perché tragga un film dal suo libro Via dall’Aspromonte.

Inseguire è un termine addirittura riduttivo per l’insistenza, il pedinamento quasi, che il suo dire testimonia. Ne derivano, per me, due effetti immediati. Il primo è che rinuncio a dare a Calopresti una copia del libro di quell’anno di Nisida. Me ne ero portate alcune da distribuire a scrittori e giornalisti e ne avevo messa in serbo una anche per il regista, da me apprezzato dai tempi di Preferisco il rumore del mare e di cui mi aveva molto colpito il libro Io e l’Avvocato. Il secondo è che mi affretto a procurarmi il libro di Pietro Criaco, a leggerlo e a recensirlo. (https://www.store.rubbettinoeditore.it/le-recensioni-di-maria-franco.-via-dalla-aspromonte-di-pietro-criaco-05/09/2018)

A questi due effetti, se ne aggiunge un altro. Comincio ad aspettare il film, come si aspetta qualcosa che non potrà che essere bello, ancora più bello della bellezza attesa. Soprattutto ricordando il volto di Calopresti mentre ci spiegava come una certa rupe fosse la vera ispiratrice dell’Et di Spielberg e percependo in alcuni, radi, messaggi del regista nella chat di Gente in Aspromonte un’assoluta dedizione al film in preparazione.


Ora, il film c’è. Aspromonte, la terra degli ultimi, l’ho visto, nell’unica sala, a Napoli, dove si proietta, temo per pochissimi giorni. Eravamo in tutto in 16 (tre ore dopo ho visto Polanski, eravamo in una cinquantina). 

Ed è un film di rara forza poetica. Non ho mai visto, a cinema, una Calabria raccontata così: nella sua bellezza naturale senza pari, nella sua storica sofferenza, nei suoi mali interni, nell’annoso abbandono, quando non inimicizia dello Stato, nella sua dignità. Narrata con la sua lingua e il suo respiro. Nella sua voglia di dirsi, senza cliché e con verità. Nel suo, nonostante tutto, rifiutarsi di morire, nella sua carsica resistenza. Nel suo bisogno di sognarsi, perché solo dal sogno potrebbe rinascere o, forse, finalmente, veramente nascere.

Esco, dalla sala, con quel nodo alla gola, quelle lacrime asciutte che sono il corollario di opere che lasciano il segno: emozioni profonde, moltissimi pensieri. Una signora, una dei 16 presenti, ha un gesto di stizza mentre si rimette il cappotto. Dice: Perché gli ultimi non diventano mai primi?
Questa e tante altre domande si faranno i fortunati spettatori di questo film.

Al momento, io tralascio le domande, commossa da un senso forte di gratitudine. Per un altro Criaco, Gioacchino, che ha imposto Africo alla Calabria e all’Italia. Per chi ha avuto l’intelligenza dei due anni di Gente in Aspromonte ad Africo (la Regione post Oliverio ne sarà capace?). Per Calopresti e i suoi interpreti. A partire da Marcello Fonte, indimenticabile poeta. Che, con suo sguardo sul mare e le montagne, la sua passione per il silenzio e le sue sentenze sulla vita e la morte, la sua ingenuità e la sua sapienza, vale, per la Calabria, più di un manifesto di bellezza e di speranza.

Ripreso su Zoomsud:

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