Colline dell’allora
comune di Pellaro, pochi mesi prima del terremoto del 1908. Bambini al pascolo.
Una bambina bionda e sottile, la più istruita – ha concluso la sua carriera
scolastica con la seconda elementare – insegna ad un bambino – che a scuola non
è mai andato e mai andrà (in Italia; andrà a scuola, poi, da emigrato negli
Stati Uniti) – le lettere dell’alfabeto. Le disegnano con un ramo sulla terra.
Leggono, cancellano, ricominciano.
Meno di dieci anni dopo,
il bambino – classe 1899 – viene chiamato in guerra. Prima linea. Scoppia,
accanto a lui, una granata, gli provoca dei problemi al cuore. Lo mettono al
servizio posta. Porta le lettere ai soldati, prende le loro per spedirle. Ma fa
qualcosa di più: legge per chi non sa leggere, scrive per chi non sa scrivere.
Il bambino – poi cavaliere
di Vittorio Veneto – è mio nonno paterno. La bambina è mia nonna materna.
La prima guerra mondiale,
nella mia mente, si lega a quelle lettere vergate sulla terra, a quell’umanità
fatta di piccole e grande solidarietà nella povertà e nel dolore.
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