venerdì 3 luglio 2020

Microstorie: Quando Sofia vinse (vincerà) lo Strega






Alle 16 in punto di un pomeriggio di novembre, il presidente del consiglio apparve in tv a reti unificate con volto adeguatamente mesto per annunciare che un’altra disgrazia aveva colpito il paese: i nuovi fulminei decessi, che avevano riportato morte e paura tra i cittadini erano determinati da un virus trasmesso dai gatti. La situazione era potenzialmente tragica. Non avendo né mezzi, né tempo per stabilire quali gatti fossero contaminanti e quali no, nel giro delle prossime due settimane si sarebbe proceduto all’eliminazione di tutti i felini. Chi avesse cercato di sottrarsi al Dpcm appena emanato, avrebbe rischiato il carcere.

Anna viveva, da sola, con gatta Sofia. Scese immediatamente al supermercato vicino casa, sperando che ancora ignorassero le nuove norme, accaparrò quanto poté di croccantini e pietrine, preparò due valigie, nascose il trasportino di Sofia in un borsone e si mise in macchina. Non aveva mai guidato in autostrada. Le tremavano le gambe e le mancava l’aria. 

-          Sofia – disse – io non devo avere paura e tu devi avere coraggio. Lo so che in macchina ti senti sempre male e vomiti, ma, adesso, no. Devi stare buona tu e buona io: ce la dobbiamo fare.

Arrivarono in una casetta di campagna, con un piccolo giardino intorno, che era notte. Sofia uscì dal suo trasportino, fece pipì, mangiò, fece il giro della casa e si mise a dormire, placida, su uno stuoino a forma di gatto. Anna organizzò la casa come un bunker, andando a letto, per poche ore, solo all’alba. Si alzò, fece la spesa per una quindicina di giorni e mandò alle sue amiche dei messaggi per dire che, in quel frangente, preferiva restare sola, si sarebbe fatta sentire lei. Nei giorni seguenti fece una buca in giardino per gettarci gli escrementi di Sofia, per evitare ogni sospetto dei raccoglitori di spazzatura, e si abituò, lei che amava il silenzio assoluto, a tenere sempre la musica un po’ alta a coprire eventuali miagolii.

Non avendo niente di meglio da fare, tirò fuori un po’ di vecchi file: incipit mai portati avanti, appunti di scrittura. In un mese, mise insieme un centocinquanta pagine che le sembravano buone.

L’epidemia era intanto finita, il paese si era salvato, e non c’erano più gatti. Sofia, che di anni ne aveva quindici, sembrava vivere una seconda giovinezza: se già prima era amica e sorella di Anna, ora era anche madre, figlia e ogni altra possibile figura d’affetto. Sempre tra le braccia, o accanto al computer o a letto insieme a lei. Quieta, divertente. Ma un brutto giorno si alzò barcollando, con gli occhi vitrei e, qualche ora dopo, morì. 

Anna avrebbe voluto abbandonarsi al pianto, ma si disse che non era il momento. L’avvolse in un panno rosa, la mise in una bella scatola e la seppellì in giardino. Sopra ci piantò un alberello di profumata citronella. Inviò le pagine ad un’amica che le inviò ad un amico editor. Per uno di quegli eventi che rarissimamente capitano nella nostra asfittica editoria, il libro venne pubblicato. Incredibilmente per Anna, finì tra i cinquanta candidati dello Strega, poi nella dozzina, poi nella cinquina. Infine, vinse.
 
La fatica più grande, per Anna, fu decidere la dedica. A Sofia, amata gatta; A Sofia, compagna della mia vita; A Sofia, sorella ed amica. Non le piacque nessuna. Si risolse a limitarsi in a “A Sofia”: due parole per un tutto.

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