Sulle coste dello Jonio
reggino, negli ultimi giorni, sono sbarcati immigrati positivi al covid 19.
Scenario ampiamente prevedibile e che, sicuramente, si allargherà nelle
prossime settimane.
Nel frattempo, in questi
mesi, il numero di terapie intensive non è aumentato di 1 (una) unità per non
parlare dei pressoché inesistenti servizi di medicina territoriale.
La spazzatura occupa le
strade di Reggio, le spiagge restano sporche, e la pulizia del mare dipende
dalle correnti.
Mentre polizia e
carabinieri continuano ad arrestare per associazione mafiosa decine di persone dedite,
in particolare, all’estorsione, l’impoverimento generale è palpabile.
La pandemia ha provocato
o accelerato la perdita del lavoro per tanti. Il ritorno all’agricoltura,
teoricamente possibile, non sembra riguardare numeri consistenti di
popolazione. Il commercio è a terra. Altri lavori non pervenuti. Di quel po’ di
attività culturale che animava le estati, neppure l’ombra: e non è solo per le
regole anti contagio.
Il sindaco di Milano dice
che il pubblico impiego calabrese dovrebbe guadagnare meno di quello lombardo: segno
di un impoverimento di intelligenza (già ampiamente dimostrato) di chi dovrebbe essere in grado di guardare
all’interesse generale del Paese.
Tra poco più di due mesi,
Reggio va al voto per il sindaco.
Siamo su un crinale che
dal dramma dell’emarginazione va rapidamente verso il baratro dell’essere
gettata nel cestino della carta straccia.
Cinquanta anni dopo l’esplosione
dei Moti reggini, Reggio si appresta a chiudere, di fatto, la sua storia
millenaria?
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