mercoledì 8 luglio 2020

Microstorie: Il grigio dei capelli è niente







Agnese si guardò allo specchio e si vide strana. I capelli che, per anni, erano sembrati mesciati da un parrucchiere di razza, in meno di due settimane s’erano ingrigiti, dando come una forma nuova al volto. Effetto ritardato, forse, dei mesi di clausura da covid 19 o, più credibilmente, dal prossimo compleanno che l’avvicinava ai settanta.

Non era, però, per l’invecchiamento del corpo che avvertiva una squietudine snervante, ma per il senso d’aver mancato il suo compito con la vita.
Alla fine si muore davvero, dopo tutta la serie di sconfitte che, della morte, non sono che la preparazione. L’unica differenza vera è quel po’ di vita che ciascuno riesce a costruire e, morendo, a lasciare in eredità.
Lei, che avrebbe lasciato?
Qualche libreria piena, qualche scritto, qualche stanza disordinata.
Ma, di vita, poca o niente.

Senza volere, avvertiva chiudersi lo stomaco per ogni piccolo segno di vita altrui: come fosse un rimprovero ai suoi fallimenti. Quando più si sentiva dentro una sconfitta – di cui era, se non totale artefice, certo complice accurata – sprofondava nel vagheggiare una morte dolce che, compassionevole, la liberasse da un’attesa troppo lunga e dolente. Salvo a vergognarsene per rispetto a chi nella sofferenza, magari atroce, continuava a vivere. E annaspava cercando di stare in piedi: di continuare a giocare la partita, con dignità, anche se, quasi al settantesimo, aveva già quattro gol (autogol) sul groppone.

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