Vito
Teti con Il patriota e la maestra
(Quodlibet, 2012) ha vinto la settima edizione del Premio Letterario Nazionale
Tropea (che ha avuto quest'anno molte vicissitudini), superando ampiamente, nella valutazione data dalla supergiuria
costituita dai 409 sindaci calabresi più
altre 41 persone, gli altri due finalisti prescelti dalla giuria tecnica (136 voti contro i 27 ottenuti da Edoardo Albinati con Vita e morte di un ingegnere e i 25 di Benedetta Palmieri con I Funeracconti).
Una nota
stampa dice che “la vittoria di Vito Teti è un indicatore della tendenza a
prediligere le storie legate al reale rispetto alle narrazioni o ai romanzi di
fantasia. ‘La storia con la s minuscola’, vicissitudini individuali che
legandosi tra loro danno vita al racconto di vicende storiche e di dinamiche
che producono l'evoluzione sociale”.
Lo scorso
anno aveva vinto Mimmo Gangemi con La signora di Ellis Island, qualche anno
prima Carmine Abate con Gli anni veloci e la nota stampa non manca di indicare,
nella vittoria di Teti, “come già
avvenuto con Gangemi e Abate, il gradimento della narrazione legata
all’appartenenza e all’identità che Teti esprime anche attraverso il suo
radicamento con il territorio e la scelta di approfondire i percorsi della
costruzione identitaria”.
Il
libro di Vito Teti è un gran bel libro anche se non è precisamente assimilabile
a un romanzo e nessuno dubita del valore letterario dell’opera di Gangemi.
Entrambi, per motivi diversi, mi hanno colpito e commosso.
Ma
questa doppia vittoria calabrese in terra di Calabria, nel giro di anno solare o poco più, mi
suscita più di una perplessità.
Nell’uno
e nell’altro caso si trattava di una vittoria annunciata. Ma non per chissà
quali interessi. Semplicemente perché dando in lettura (e-book) tre testi ai
sindaci – tra i quali, immagino, non c’è motivo di annoverare lettori forti,
critici letterari, profondi conoscitori della narrativa mondiale – la cosa più
naturale, e probabilmente anche più giusta, che facciano è scegliere quello
più vicino alla terra che amministrano.
Ma
tutto questo dà ad un Premio che poco più di due anni fa Repubblica indicava tra i cinque più importanti d’Italia un tocco di
localismo, che restringe di molto la
sua importanza nazionale, confermando, nonostante il valore di molti nostri
autori, la marginalità anche culturale della Calabria.
(Ci
sarebbe, naturalmente, un discorso a monte. Ma i Premi letterari, esclusi
magari Strega e Campiello e, forse, qualche altro, servono ad aumentare le
tirature? Com’è che in Italia, dove la maggioranza delle persone non legge
neppure un libro l’anno, c’è un numero di premi letterari così sterminato, che
dubito qualcuno ne abbia perfetta contezza?)
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