lunedì 11 novembre 2013

Libri, Calabria e Premi letterari






Vito Teti con  Il patriota e la maestra (Quodlibet, 2012) ha vinto la settima edizione del Premio Letterario Nazionale Tropea (che ha avuto quest'anno molte vicissitudini), superando ampiamente, nella valutazione data dalla supergiuria costituita dai 409 sindaci  calabresi più altre 41 persone, gli altri due finalisti prescelti dalla giuria tecnica (136 voti contro i 27 ottenuti da Edoardo Albinati con Vita e morte di un ingegnere e i 25 di Benedetta Palmieri con I Funeracconti).

Una nota stampa dice che “la vittoria di Vito Teti è un indicatore della tendenza a prediligere le storie legate al reale rispetto alle narrazioni o ai romanzi di fantasia. ‘La storia con la s minuscola’, vicissitudini individuali che legandosi tra loro danno vita al racconto di vicende storiche e di dinamiche che producono l'evoluzione sociale”.

Lo scorso anno aveva vinto Mimmo Gangemi con La signora di Ellis Island, qualche anno prima Carmine Abate con Gli anni veloci e la nota stampa non manca di indicare, nella vittoria di Teti, “come già avvenuto con Gangemi e Abate, il gradimento della narrazione legata all’appartenenza e all’identità che Teti esprime anche attraverso il suo radicamento con il territorio e la scelta di approfondire i percorsi della costruzione identitaria”.

Il libro di Vito Teti è un gran bel libro anche se non è precisamente assimilabile a un romanzo e nessuno dubita del valore letterario dell’opera di Gangemi. Entrambi, per motivi diversi, mi hanno colpito e commosso.

Ma questa doppia vittoria calabrese in terra di Calabria, nel giro di anno solare o poco più, mi suscita più di una perplessità.

Nell’uno e nell’altro caso si trattava di una vittoria annunciata. Ma non per chissà quali interessi. Semplicemente perché dando in lettura (e-book) tre testi ai sindaci – tra i quali, immagino, non c’è motivo di annoverare lettori forti, critici letterari, profondi conoscitori della narrativa mondiale – la cosa più naturale, e probabilmente anche più giusta, che facciano è scegliere quello più vicino alla terra che amministrano.

Ma tutto questo dà ad un Premio che poco più di due anni fa Repubblica indicava tra i cinque più importanti d’Italia un tocco di localismo, che restringe di molto la sua importanza nazionale, confermando, nonostante il valore di molti nostri autori, la marginalità anche culturale della Calabria.

(Ci sarebbe, naturalmente, un discorso a monte. Ma i Premi letterari, esclusi magari Strega e Campiello e, forse, qualche altro, servono ad aumentare le tirature? Com’è che in Italia, dove la maggioranza delle persone non legge neppure un libro l’anno, c’è un numero di premi letterari così sterminato, che dubito qualcuno ne abbia perfetta contezza?)

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