mercoledì 16 ottobre 2013

Il giudizio delle parole/2






«Un suo amico raccontava che negli ultimi anni Elsa chiedeva a tutti: “Qual è secondo voi la frase d’amore più vera, quella che esprime al massimo il sentimento?”. Tutti dicevano grandi cose. Lei rispondeva: “No. La frase d’amore, l’unica, è: hai mangiato?”». Laura Morante, attrice, nipote di Elsa Morante

Oggi è la giornata del cibo. Che è buono o cattivo, nutriente o indigesto, naturale o falso, inquinato o genuino, ben cucinato o volgarmente esplicitato: come le parole. Che possono nutrire e far male, rafforzare o minare, far vivere o far morire.



Di vini so poco o niente, ma mi fa piacere che un vino calabrese entri in una guida nazionale. E in più trovo gradevole una pubblicità fatta così.


Queste sono le ultime parole che ho firmato su Zoomsud:










Ecco/Io e te, Meridione/dobbiamo parlarci una volta,/ragionare davvero con calma,/da soli, /senza raccontarci fantasie/sulle nostre contrade./ Noi dobbiamo deciderci/con questo cuore troppo cantastorie.

Questi versi di Franco Costabile, citati nel testo, rendono perfettamente l’obiettivo – centrato – da Vito Teti nel suo ultimo libro, Maledetto Sud, appena pubblicato da Einaudi: fare della sua appassionata e insieme pacata riflessione sulle distorte immagini sul Sud consolidate nel tempo fino a diventare un luogo comune ripetuto il più delle volte acriticamente, addirittura inconsapevolmente, un dialogo ininterrotto con la sua terra, trasformando in una sorta di conversazione dialettica la sua stessa esperienza di vita. 

Gli stereotipi sul Meridione, quelli decisamente “anti” e quelli apparentemente “pro” sono, dice Teti, «una costruzione con molti padri, infiniti interessi, tanti sguardi opachi e distorti, è stata quella di un Meridione come luogo mitico, astorico, naturale, compatto. Il Sud Italia, in realtà, è un ossimoro, un luogo di contrasti geografici, storici, sociali, produttivi».

Come uscirne? Affrontando dall’interno la nostra realtà, senza paura di riconoscere le negatività e le ombre della nostra storia, le grandezze, gli sforzi irrisolti, le macerie: di guardare in faccia senza infingimenti ciò che siamo stati e ciò che siamo: «Per sfoltire, sfrondare, annullare, attenuare, rovesciare le immagini negative costruite contro i meridionali, è necessario “andare dentro di noi”. E’ necessario guardare nelle nostre profondità. Non possiamo sopportare gli imbrogli, le menzogne, gli inganni perpetrati in nome di un “noi” nel quale non vogliamo riconoscerci».

Compito ineludibile degli intellettuali meridionali sarebbe, perciò, quello di «rimettersi in cammino, guardare e vedere, osservare, condividere, raccontare, accogliere. Una diversa etica dell’erranza e della “restanza”. Partire, restare, tornare, non si contrappongono, ma si rinviano. Avere riguardo, avere lo sguardo fuori e dentro di sé, ascoltare ed autoascoltarsi».

Dice Teti, che è ordinario di Etnologia dell’Unical, che «bisogna dare un nuovo senso a parole antiche e costruire un dizionario dell’antirazzismo. Termini e concetti come tradizione, modernità, classicità, identità, appartenenza, bellezza, adoperati spesso per discorsi edulcorati e retorici vanno declinati in maniera convinta, riempiendoli di nuovi contenuti. Non esiste, in realtà, alcun autentico legame con la modernità se si dimentica il passato e, viceversa, il presente non può essere vissuto soltanto come degrado e decadenza. Occorre rovesciare e assumere in positivo termini come ozio, sudici, maledizione. La melanconia va recuperata nella sua accezione positiva, come melanconia attiva, critica, creativa. Anche l’incompiutezza e le rovine possono diventare risorse identitarie e di vita, se solo guardate e trattate con nuova sensibilità, con cura». 

Contro ogni meridionalismo «fatto di lamentele e separatezze o di superiorità», contro i separatismi di tipo leghista, guardando dentro «le ambiguità delle identità», e liberandosi «dalla “maledizione” di un’identità angusta, chiusa, inventata (come quella che oppone Nord a Sud)», si può, dice ancora Teti, «trasformare il conflitto in benedizione, il risentimento in riconoscenza, l’autoassoluzione in consapevolezza dei propri errori, l’ostilità nei confronti degli altri in comprensione»: «bisogna ripartire da una riflessione sulla possibilità e sulla necessità di sentirsi italiano, pure sentendo l’appartenenza a un luogo e a un mondo. Può significare che il riconoscimento profondo di un luogo può essere un possibile antidoto alla fine del mondo».

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