martedì 10 gennaio 2012

Fratture


Dunque, mentre come milioni d’italiani che hanno avuto la fortuna di alcuni giorni di vacanza, stavo per tornare al lavoro, sono stata attraversata, nello spazio tra cervello e cuore, da questo periodo passato in Calabria. Non solo le facce delle persone care. Ma l’aria, la luce, il sole, il vento della mia terra, quel colore dell’alba, dei tramonti che non hanno uguali; l’odore gradevolmente acre dell’olio che indora appena le crespelle; il dolce al sapor di bergamotto; le asciugamani di fiandra tessute dalle bisnonne; i Bronzi, che avrei voluto vedere a casa loro, al Museo, ma, così stesi, nella solitudine (gratis) del Consiglio regionale mi sono apparsi – lo devo dire – belli come mai (e mi è anche venuto da pensare che di questo loro rimanere in Calabria, nonostante tutto, bisognerà pur dare atto ai politici che se ne sono assunti la responsabilità). E la lingua, quel dialetto che è stato il mio primo modo di parlare e di pensare: la mobilità, la precisione, la forza evocativa con cui interpreta il mondo.
  Quanta Calabria, ovvero quanto ricordo, rimpianto, miraggio di Calabria sono dispersi per l’orbe terraqueo? Quanto pesa il malessere non detto, forse neppure pensato (perché, giustamente, il qui e ora del presente richiama ciascuno ad altri doveri, ad altri impegni) d’un’assenza – anche l’assenza voluta, scelta dai tanti raccontati dal greco Kavafis – “Per altre terre andrò, per altro mare/Altra città, più amabile di questa, dove/ogni mio sforzo è votato al fallimento,/dove il mio cuore come un morto sta sepolto,/ci sarà pure” – ma, comunque, sempre (o, ad essere cauti, quasi sempre) sdradicamento e incompiutezza?
Da Zoomsud, “La nuvola infelice sulla Calabria” firmato Consolata Cortese. Il testo è stato ripreso su fb, dove, tra gli altri, è apparso questo commento: “Si suppone che l'origine del nome 'Reggio' sia 'Reghion', dal greco 'frattura'... Non è forse un frattura dell'anima, quella qui descritta?”







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