lunedì 2 dicembre 2019

Piccole storie da Nisida: L'angelo e lo spirito del Natale



 
Nisida, Laboratorio di Arte presepiale


Tocca a te, ha detto il maestro. Angelo s’è fermato un attimo, ha visto che non c’era traccia di presa in giro né nella voce né nella faccia del maestro e ha fissato l’angelo sopra la capanna. E anche questo è pronto. Uno scoglio, di sughero, cortecce e pietre, con pochi pastori, una natività essenziale, che si aggiunge a decine di presepi. 

Anch’io sono un angelo, anzi una testa d’angelo. M’ha fissata in alto, su una parete, la maestra Raffaella più di dieci anni fa e, da allora, ne ho visti fare decine e decine, di presepi. Quelli su tegole o tegoline, da appendere. Quelli più grandi con montagne e ruscelli, e resti antichi e scale e viuzze e lavandaie, venditrici d’uova, pescatori, macellai, fabbri e calzolai, e pecore, oche e galline. Quelli ambientati sotto il Vesuvio e a Piazza Plebiscito. Quelli particolari. Ce n’è uno, in cui la capanna è una chiesa. E un altro con una moschea dalla tonda cupola gialla e un cortile a mattonelline azzurre che sa di Medio Oriente. Tanti venduti, tanti regalati alle autorità. La maestra Francesca ne ha guardato uno per anni – Quando vado in pensione me lo porto a casa – e non ci poteva pensare quando, invece, è stato portato in una di quelle che si chiamano sedi istituzionali.

Ce n’è uno firmato. Ogni tanto me la vado a rivedere, quella firma. Luca de Filippo. Che è come se Eduardo ci avesse regalato Natale a casa Cupiello. Anche se non l’ho mai vista, la commedia la conosco tutta. Ogni anno la fanno vedere a scuola. Qualcuno dice d’essersi scocciato – è una storia vecchia – ma, quando tornano in laboratorio, se lo ripetono tutti, ridendo: Te piace o presepe? No. Ma io non mi faccio capace! Ma lo capisci che il Presepio è una cosa religiosa? Una cosa religiosa con l’“interoclisemo” dietro? Come si ripetono la storia degli spiriti perché anche Dickens fa parte della tradizione della casa.

Sullo spirito del Natale avrei qualcosa da dire. Forse l’ho sempre saputo, ma le parole per dirmelo mi sono apparse oggi, quando il maestro del laboratorio edile è venuto a comprare un presepe e ha lasciato dei fogli. Il papa ha scritto una lettera sul presepe. Se vi va di leggerla…

Ma io non credo al papa, ha detto Giuseppe. Neppure io, ha detto Francesco. Io sì, ha replicato Pio. Come non avevano mai fatto, si sono messi a parlare di Dio, della vita e della morte, del paradiso e dell’inferno. E io ho pensato che il presepe vero erano loro. Loro e tutta l’isola. Da nessuna parte, in questa città, si potrebbe fare un presepe vivente più bello che qui. Con i laboratori-botteghe. Compreso questo d’arte presepiale. E le ragazze e i ragazzi. E gli alberi, gli animali, la torre antica e i tanti pastori possibili, dal cuoco all’agente dal medico, dalla psicologa al maestro di musica, dal volontario al pasticcere.

Ecco. Non mi devo lasciar distrarre dal profumo che arriva dalla pasticceria. Questo insieme di pandoro, panettone, struffoli, roccocò che il venticello diffonde fa parte degli spiriti inebrianti del Natale. Ma ce n’è uno più profondo.

Natale è attesa. Di luce, di calore, di tenerezza. È lo stupore, come ha detto qualcuno senza pensare al Natale, di avere in sé, nel freddo dell’inverno, un’invincibile estate. L’attesa, dicono, è quella dell’Avvento. E, quindi, il Natale, sarebbe un arrivo, una conclusione. E, invece, è la pienezza dell’Attesa. E chi, più e meglio di tutti attende? Le donne col pancione. I malati in ospedale. Chi attraversa il mare. 

E quelli che stanno in carcere.


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