venerdì 6 dicembre 2019

Piccole storie da Nisida: La grata



 
N'isola d'arte per il Parco Letterario di Nisida
, versi di Ernesto

Aniello ha mani sudate e grandi. Quando mi stringe, mi attraversa un brivido di gelo. Il suo sudore è freddo. Guarda verso il mare e si finge orgoglioso di un’altra giornata al di là delle sbarre: come il padre che neppure ricorda, gli zii e i fratelli più grandi; com’è stato in passato e come potrà di nuovo accadere in futuro.

Io la galera, me la so fare, non come te. Il tono è di sfida, lo sguardo sornione.

Te è Luigi. Che fino a qualche mese fa è stato allegro e spensierato. Rideva quando, le mani veloci e leggere, mi allacciava intorno le sneakers a prendere aria. La sua vita da ladro semplice – nessun gallone di sistema – era la sua polizza sicurezza. Ogni tanto un po’ di mesi di carcere e di nuovo fuori, a godersi le scorribande in moto e le donne – che lui, di ragazze ne cambia tante, ma tutte più grandi di lui, e di parecchio. Poi è arrivata l’accusa d’aver provocato una ferita grave ad una vecchietta. Accusa falsa, facilmente smontabile dal suo avvocato. Ma gli è scesa addosso un’inattesa pucundria. Ha un bambino di tre anni. Da sbandierare come un certificato d’essere grande, d’essere uomo. E che, improvvisamente, è diventato un cruccio. E se, crescendo, diventerà come lui? E se un giorno gli chiederà conto del perché l’ha messo al mondo, tra una carcerazione e l’altra? Pensieri, inattesi, che lo turbano e gli hanno fatto le mani lente e pesanti.

A Emanuele il sangue sale facile alla testa, ma in un niente torna a ridere, a scherzare. È quello che mi sta più addosso. Ha scoperto il quadrato da cui si riesce meglio a intravvedere un altro quadrato. Che corrisponde alla stanza di Laura, Rita ed Anna. Emanuele ha cominciato a scriversi con Anna, poi con Rita, adesso con Laura. Le ragazze hanno litigato tra loro, poi hanno fatto pace, perché Rita ha cominciato a scriversi con Giuseppe e Anna con Ciro. Emanuele e Laura si dicono fidanzati. La sera si danno la buonanotte con gli accendini. Emanuele con una mano cerca l’equilibrio perfetto e, con l’altra, mi solletica con la fiammella. Se Laura scrivesse ad un altro del carcere, farebbe il geloso. Forse, lo sarebbe davvero. Ma sa bene che è una cosa giusto per passare il tempo. Lui aveva una ragazza, l’ha lasciata quando è finito in carcere. Manuela era troppo bella e lui non poteva stare lì a farsi il sangue amaro a immaginare che lei, magari, lo tradisse. Quando tornerà libero cercherà una ragazza tranquilla, che il carcere lo conosce per le sale colloqui, al padre e al fratello, ma mai potrebbe varcarne i cancelli. E ci farà un figlio, subito.

Io, i ragazzi li riconosco dalle mani. Come fossi un rilevatore di impronte digitali. Distinguo le mani sincere da quelle bugiarde, le incerte dalle impostore. A partire dal calore. Non dai gradi, come fossi un termometro. Dalla qualità. Non sento la febbre del corpo, misuro il veleno e la linfa buona che scorre nelle vene. Ci sono mani che mi afferrano come se volessero spezzarmi. Mani che mi si aggrappano addosso perché un limite a quadretti contiene, ma lascia uno spiraglio. Mani di chi poggia anche la fronte e di chi resta discosto. Mani di chi sembra riuscire ad affacciarsi come se fosse una finestra qualsiasi ed io non esistessi. Mani di chi almeno una volta sogna di scappare – e che ci vuole? Si segano le sbarre e si scende giù con un lenzuolo, oppure si salta: noi siamo giovani e forti. Mani di chi nasconde una lacrima dietro un granello portato dal vento, di chi saluta tutti quelli che passano sotto il reparto, e di chi guarda e tace.

Peso, del calore, l’insofferenza e il disorientamento, l’effervescenza e l’abbattimento, la noia e il desiderio. E, per ognuno, divento quello di cui ha bisogno. Bastone d’acciaio e liana di Tarzan. Fino a scomparire. Come una balaustra di brezza.

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