Antivigilia di Natale di
trenta anni fa e più. Un ragazzo in uscita da Nisida e nessuno che lo viene a
prendere. Lo accompagno. Quando arriviamo nei Quartieri, ho paura. Non del luogo, dello spazio. Non sono una guidatrice super, se dovessi dover fare
qualche manovra impegnativa come me la caverò? Quando arriviamo sotto casa sua,
vorrei allontanarmi prima di subito. Ma appare sull’uscio suo padre. Non si
guardano. Il ragazzo sparisce dentro un portoncino, con la sua mappatella di
panni in spalla. Il padre mi invita a prendere un caffè al bar lì accanto. È un
uomo alto, imponente, il volto rubizzo e l’alito che non lascia dubbi. Chi me l’ha
fatta fare ad arrivare fin qui? Comunque: Hic
Rodhus hic salta. Sorrido. Entro con lui nel bar. Il signore, per pagare,
toglie vistosamente dalla tasca – è ben vestito – una banconota da centomila
lire e, sorseggiando il caffè, mi dice: Lo
tengo in canna. E fa un gesto come a voler tagliare una testa. Non la sua.
È un ricordo che mi
prende sempre nei giorni che precedono il Natale. Insieme ad un altro. Un fatto
che mi era capitato poche ore prima. Mi piace – sarà che nel sangue ho la
povertà degli avi – la dispensa ben piena. Ma un giorno la baby sitter di mia
figlia s’era trovata senza una pastina ed era scesa di qualche piano per
chiederla ad una signora del palazzo, a me sconosciuta. Sapevo che l’uso delle
condomine, in simili casi, era restituire l’equivalente. Ma ridare un pacchetto
di pasta mi sembrava misero. Così, avevo lasciato correre, con l’idea di
farle un omaggio a Natale. E quella mattina m’ero presentata con una bella
orchidea. La signora aveva aperto il portone e lì, sulla soglia, s’era messa a
piangere. Nessuno mi ha fatto un regalo
così.
S’impara sempre. Un detto
calabrese che amo recita: A vecchia avia
100 anni e ancora ‘nsignava, dove “insegnava”, vuol dire “imparava”. Quel giorno,
del dolore – diverso – del cuore ho imparato parecchio.
Nessun commento:
Posta un commento