«Perché tutto
quanto riguarda la morte, e tutto quanto riguarda Dio, è, per chi crede come
per chi non crede, di un’importanza essenziale: e non c’è dubbio che è la sola
cosa veramente essenziale a cui possa succederci di pensare.»
Condivido questo
pensiero che Natalia Ginzburg fissa in uno scritto del luglio 1970, L’infanzia e la morte, raccolto nel
libro Mai devi domandarmi, pubblicato
nel novembre di quello stesso anno.
L’ho letto negli
ultimi giorni, poche pagine ogni mattina, con lo stesso piacere che si prova
alla luce quieta e tersa di certe albe. Nel risvolto di copertina, Enzo
Siciliano scrive: «Questo libro, dove il racconto sfuma in riflessione, o
viceversa, dove gli stimoli e i problemi del mondo di oggi affiorano con la prepotenza
con cui li viviamo, più che uno zibaldone di pensieri, o lo scartafaccio in cui
la propria vita è raccontata, appare, nel terzo disegno dei suoi capitoli
staccati e tutti uniti dalla medesima possibilità, come il romanzo che mai
nessuno racconta a se stesso. Il romanzo dei propri incontri con la realtà,
delle proprie risposte tutte indirizzate a capirla e a scioglierla dagli enigmi
intellettualistici dietro cui molti amano celarla. Un romanzo di cui si è solo
noi protagonisti, ma che per essere tale bisogna che ogni vistoso narcisismo
sia obliterato – e il mondo, nella sua ricchezza prospettica prenda a mandare
il suo arcano suono melodioso che è difficile far sentire. Natalia Ginzburg vi
riesce quando il suo “io”, delicatamente va a nascondersi dietro un proprio
antico dolore, e di là parla con la dolcezza quieta e arresa dei saggi.»
Mai devi domandarmi è pieno di
piccole perle, cito solo una frase - poesia. «Ma io avrei voluto, per un
attimo, esistere nel campo del suo sguardo» (Da La grande signorina, in cui parla Ivy Compton Burnett) e il
capitolo Sul credere e non credere in
Dio.
Dopo la morte e
Dio, come domande che implicano risposte fondanti sulla vita, ci metterei la
politica, la cultura (nelle sue molteplici espressioni, ma soprattutto nella
dimensione parola: detta e scritta) e la coltura (dalla coltivazione della
terra, da cui veniamo e a cui torniamo ad ogni mestiere ed attività che faccia
crescere ciò che negli uomini è umano).
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