mercoledì 26 giugno 2019

Gli esami di Martina






Grazie per tutte le volte che ha portato pazienza con me spiegandomi argomenti semplici anche cento finché non vedeva che mi erano entrati in testa. Grazie di avermi aiutato con la scuola in questi tre anni spiegandomi materie diverse da quelle che insegna lei. (…) Ho un altro ricordo che è marchiato a fuoco nella mia memoria. Maè, stavamo studiando diritto e dopo un’infinità di pagine dove ripetevano cose logiche e sempre uguali, vi siete girata e avete detto: “Martì mo’ basta, continuiamo un altro giorno.” Maè, mi avete spiazzato perché non avrei mai pensato che potesse dire una cosa del genere sapendo quanto le piace studiare.” Da una lettera di Martina


Ieri, Martina ha finito gli esami. Di Stato.

Non sono tantissimi i ragazzi che, usciti da Nisida, hanno continuato la scuola, raggiungendo la licenza della scuola superiore, ma qualcuno c’è. Una gioia grande me la diede un ragazzo, che, dopo tanti anni dall’uscita da Nisida, mi raccontò come s’era rimesso a studiare, prendendo la licenza liceale: avevo passato non poche ore a tentare di convincerlo che doveva continuare a studiare.

Martina è la prima a fare gli esami, in una scuola della città, da esterna, stando ancora a Nisida. Grazie alla sua straordinaria forza di volontà, al sostegno delle docenti di Nisida, che le fanno fatto da supporto, ognuna per le propria disciplina e/o per le proprie competenze, a qualche docente che, da volontaria, le ha tenuto qualche lezione, all'appoggio di tutti gli operatori dell'IPM (educatori, agenti, ecc.)

Ci sarebbe da aprire un dibattito sull’organizzazione dei Cpia, cui attiene anche la scuola in carcere: a partire dall’assurdità di un sistema che non riconosce le 850 ore del cosiddetto secondo periodo come biennio superiore, valido per accedere, con la necessaria integrazione delle materie specifiche, al terzo anno del superiore.

Ma, per oggi, lasciamo i discorsi più generali per festeggiare un risultato straordinario che, spero, possa essere di traino per altri ragazzi e, in specie, per altre ragazze.

Quando ho iniziato, tre anni fa, a fare lezione a Martina, lei mi seguiva con un’attenzione vuota: nel senso che voleva essere attenta, ma non sembrava cogliere i nessi tra le parole, anche perché, a scuola, l’avevano convinta che tra lei e l’Italiano c’era una sorta di inguaribile inimicizia. Quando, poche settimane fa, abbiamo finito di ripetere, per l’ennesima volta, i programmi di Italiano, Storia, Diritto, i collegamenti le venivano semplici e si divertiva a prendere garbatamente in giro, centrando il motivo, questo o quel grande autore della nostra letteratura.

Mi dicono che, in Italiano scritto – la sua ex bestia nera – ha avuto il massimo.

Merito suo, certo. Ma un regalo, per me, che vale cento medaglie.

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