C’è una foto da qualche
parte di un armadio, una polaroid ormai slavata, che mi mostra più di una
cinquantina d’anni fa. Più robusta di ora, una gonna a quadri, una maglietta a
maniche corte, che ricordo giallina, un nastro di velluto nero a trattenere i
capelli in una coda piuttosto scompigliata. Sto piegata su un cesto colmo di
fiori e, accanto a me, ci sono non ricordo se due o tre bambini: forse, una
bambina e due bambini, tutti miei cugini molto più piccoli. Dietro, non
distante dal muro di una casa, un altarino sotto una sorta di pagoda ottenuta
facendo ricadere su dei bastoni un copriletto damascato. La strada, sterrata, era
stata bagnata di fresco per evitare la polvere. È il fermo immagine di una
processione del Corpus Domini: che si svolgeva, allora, di giovedì e
significava raccogliere tantissimi fiori, riempire cesti di petali, appendere
alle finestre i copriletto di corredo, tirar fuori un tavolino, abbigliarlo a
mo’ di altare, aspettare che il parroco arrivasse, l’ostensorio nelle mani
nascoste in una pianeta con ricamata sul dorso una grande ostia, come un sole
pieno di raggi, respirare l’incenso (ai chierichetti piaceva fa oscillare il
turibolo), lanciare tutti i petali a fare un tappeto su dove sta passando Gesù, e poi continuare a seguire la
processione verso gli altri altari, sperando che il proprio fosse (stato) il più
bello e il più odoroso.
Da anni, il Corpus Domini
si festeggia di domenica. In molte città c’è l’unica processione dell’anno
(quindici e più anni fa, al tempo della foto, se ne facevano parecchie). Nel
mio quartiere, la processione raccoglie i fedeli di tutte le parrocchie della
forania, partendo e arrivando sempre da una chiesa diversa. Ho dato uno sguardo
all’itinerario di quest’anno, 23 giugno, due giorni dopo l’inizio ufficiale
dell’estate, temperatura prevista alta. Ma sapevo che non ci sarei andata.
Dei
dogmi cattolici, proprio di quello del Corpus Domini non ho mai dubitato. Ma – fuori
da quell’ambiente contadino, dai fiori raccolti in campagna, da quei damaschi
di corredo (copriletto che mai venivano messi a letto per non sciuparli, ma che
ogni anno avevano la loro ora d’aria e di notorietà), o, peggio, in qualcosa
che cercasse di riproporne qualche aspetto in maniera del tutto artificiale – in una processione, mi
sentirei del tutto fuori luogo.
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