“Voi siete ‘a storia.”,
“Tu sì ‘a storia.”: Lo dicono i ragazzi, a Nisida, quando vogliono sottolineare
una parola, un’azione, o troppo bella/forte/intelligente o, al contrario,
troppo “scema”. Il termine, quindi, vale come un aggettivo o un avverbio che
indichi un fuori misura.
Ma, se la prof. narra di
storia, si può trovare davanti, oltre all’opposizione più abituale – “Ma che ce
ne importa a noi del passato? Il passato è passato” – anche una sfilza di
rimostranze: “Ma a voi chi ve l’ha detto? C’eravate? L’avete visto voi? Io non
ci credo. So’ tutte bugie. I libri dicono bugie. Voi dite bugie. Io non ci
credo.”
Domande e affermazioni
che non si accontentano di risposte sulle fonti
della storia, sul metodo storico.
Spie del fatto che tanti
ragazzi sono immersi nell’unidimensionalità del qui e ora, ovvero in una sorta di presente assoluto, che ha i confini stretti del loro quartiere se
non della loro camera ed appare slegato dalle radici (il passato) e dalle
prospettive (il futuro).
E che hanno maturato, nei loro giovani anni, un forte
tasso di sfiducia verso chiunque. Una sfiducia che nulla ha a che vedere con il
dubbio che induce alla ricerca, al
confronto, alla scelta tra posizioni diverse, alla verifica, che si è
solidificata nel tempo come abitudine a difendersi da chi vuole prevaricare, e che è diventata rifiuto ad allargare
lo sguardo muovendosi liberamente, col pensiero, nello spazio-tempo.
Non ci vuole molto a
immaginare che, questi ragazzi non hanno, a loro volta, ricevuto, molti sguardi
fiduciosi. O, se li hanno ricevuti, non erano (più) (sufficientemente) in grado
di percepirli come tali.
Di tanto in tanto, si
riaccende, per qualche settimana, l’attenzione mediatica sui ragazzi difficili.
Ma la difficoltà di
crescere bene, soprattutto in certe
aree con forti problematiche sociali, economiche e con diffusa presenza
malavitosa, non è questione emergenziale, bensì strutturale.
Come è tutt’altro che
emergenziale la questione genitorialità.
Tra l’assenza dei padri e quella che Gennaro Matino definisce la polverizzazione del ruolo della madre, quali
solidi riferimenti familiari hanno ragazzi che già vivono condizioni sociali,
economiche e ambientali tutt’altro che facili?
Rimando a queste mie interviste a Redattore sociale e a Panorama:
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