Il prete straniero,
arrivato in parrocchia qualche mese fa, all’inizio stentava molto con l’italiano.
Al momento del Vangelo, era un altro a leggerlo a tenere un’omelia breve. Dopo
poche settimane, il prete straniero ha cominciato a leggere anche il Vangelo e
un’omelia scritta: e breve. Da quel momento la sua confidenza con la nostra
lingua è cresciuta con rapidità sorprendente. Ieri ha tenuto un’omelia di venti
minuti. Ne ho ascoltati due o tre. Non dubito della sua personale fede, ma
neppure del fatto che, non ascoltando il resto, non mi sono persa molto.
Non è certo il primo a
sostenerlo, Ratzinger era mordace a proposito, ma non sarebbe male che i preti
leggessero con attenzione l’intervista che Cacciari ha dato, a Natale, all’Huffpost,
e che inizia così: «Le Chiese sono diventate delle grandi scuole di
ateismo. Nella gran parte di esse, la forza paradossale del verbo di Cristo
viene trasformata in un discorso catechistico e ripetitivo, un piccolo feticcio
consolatorio e rassicurante, un idoletto. È l’opposto di ciò che insegnava Gesù
domandando ai suoi discepoli: “Chi credete che io sia”?»
Nella stessa intervista,
Cacciari parla del suo ultimo libro, Generare
Dio, edito dal Mulino, un bel testo, scorrevole e profondo, che insiste su un punto: che il sì di
Maria è stato tutt’altro che scontato: e in quel sì non remissivo, ma libero e
potente, Maria s’innalza ad un’altezza assoluta che la pittura ha compreso e il
pensiero ancora non del tutto adeguatamente. Un’altezza che supera l’umana
possibilità: «L’impossibile è l’estrema misura del possibile. E, se non orienti la tua
vita in quella direzione, rimarrai prigioniero del tuo tempo. È questo il
messaggio di Gesù: per essere libero, abbi come misura la mia impossibilità. Perché è
necessario avere come misura qualcosa che ci oltrepassa per riuscire a
spingerci altrove. Cristo non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade.
I suoi discepoli dicevano: “È fuori”. Nel senso: “È fuori di testa, è pazzo”.
Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell'uomo, ha creato il
mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C'è qualcosa di più realistico
di questo? Senza quell'impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a
ri-orientare diversamente le nostre vite.»
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