Gatta Bella viveva in un appartamento al quarto
piano di un condominio di una grande città.
La sua famiglia era formata da tre persone. Il
signor Luigi era un uomo calmo e brizzolato, contro le cui gambe Bella si
strusciava la sera, quando tornava dal lavoro e la domenica, quando rimaneva a
letto fino a tardi, andava a ronfargli sulla schiena. La signora Anna
borbottava continuamente che quella gatta sporcava in giro e mangiava troppo,
ma poi di prima mattina le bolliva il pesce, le dava i croccantini e tirava a
lucido la sua lettiera. Il suo vero amore era però Carlotta, una ragazzina
bruna e paffutella di una diecina d’anni. Si accucciava sulla sua scrivania
quando lei faceva i compiti, pasticciava con i suoi colori se lei disegnava, si
rotolava tra i Lego, mettendo in pericolo le sue ardite costruzioni e si
metteva in fila con le bambole per farsi anche lei vestire e pettinare.
Gatta Bella passava molte ore sola
nell’appartamento. Per un po’ sonnecchiava ora su una poltrona ora sull’altra,
poi se ne andava a esplorare il balcone. La signora Anna, per dare aria alla
casa, lasciava sempre la serranda della cucina sollevata. Con un po’ di sforzo
e appiattendosi a tappetino, gatta Bella usciva a fare l’esploratrice. Le
piaceva mettere il naso nelle piantine da cucina, si arrabbiava con le spine
che le strusciavano il pelo e inseguiva – stando ben attenta a rimanerne
lontana – gli uccellini che di tanto in tanto si affacciavano sul balcone.
Davanti alla casa, c’era uno sprazzo di verde, un campetto semiabbandonato,
dove spesso quattro o cinque gatti si rotolavano al sole, inseguendosi in
strani girotondi. Gatta Bella miagolava ai suoi amici, eccitata per la loro
presenza, ma anche spaesata da tutto il loro caos.
A poca distanza dall’estremità destra del
balcone, iniziava un altro balcone. L’appartamento corrispondente era sfitto,
ma erano rimaste le piante dei precedenti inquilini: un groviglio di rami e di
foglie che impedivano di vedere di là,
nonostante tutti i tentativi di gatta Bella. Ma un giorno si cominciarono a
udire rumori nella casa accanto e gatta Bella sentì la signora Anna dire al
signor Luigi che era venuto ad abitare lì un distinto signore di una
cinquantina d’anni, solo e con un gatto. Gatta Bella appizzò le orecchie e il
cuore le cominciò a battere più forte. Si precipitò sul balcone e cominciò a
miagolare. Le rispose un altro miagolio:
“Ciao, gattina, come ti chiami? Io sono gatto Peppo”
“E io sono gatta Bella”.
Si riuscivano appena a intravvedere, ma da quel
momento iniziarono le loro conversazioni quotidiane. Gatta Bella raccontò di
Carlotta, gatto Peppo le disse del suo padrone che girava di città in città per
lavoro, chissà quanto sarebbero rimasti là. Lui, Peppo, restava solo tutto il
giorno, con una grande ciotola di croccantini e una scodellona d’acqua.
“Come sei bella”, diceva gatto Peppo.
“Ma tu non mi vedi”, si schermiva gatta Bella.
“Non importa – continuava gatto Peppo – lo so che
sei proprio una gattina puzzolona...”
Passavano gran tempo così a miagolare fra di loro
e, quando si appisolavano al sole, sognavano l’uno dell’altra.
Ci fu una notte di tempesta, il vento muoveva i
vasi sul balcone e gatta Bella tanto strepitò che si fece ospitare nel lettone
dei suoi padroni. La mattina dopo c’era il sole; gatta Bella uscì sul balcone e
lanciò un miagolio che risvegliò tutti i condomini. Il vento aveva sfogliato le
piante e, nell’altro balcone, si vedeva il più bello dei gatti. Rosso, arruffato
e grasso, gatto Peppo la guardava estasiato. “Puzzona”, balbettò.
Gatta Bella non era una gatta di razza, ma gli
apparve bellissima: il pelo marroncino, sul dorso aveva un contropelo dorato,
da principessa, e sul petto il bianco era candido. Aveva le guanciotte paffute,
i baffi sorridenti, gli occhioni grandi e, soprattutto, il nasino rosa.
Per il suo compleanno, gatta Bella ebbe un
regalo: un grosso croccantino che gatto Peppo aveva preparato appallottolando
tutti i croccantini che aveva messo da parte negli ultimi giorni. Ma Peppo le
disse pure che il suo padrone doveva andare via e non sapeva a chi affidarlo.
Gatta Bella andò a raccontare tutte le sue pene a
Carlotta – loro due si capivano bene e, quand’erano sole, si raccontavano ogni
segreto – e Carlotta cercò di convincere la madre a prenderlo con loro.
“Non se ne parla proprio”
“Prendiamolo, rinuncio a tutti i regali di
quest’anno” fino a che la signora Anna sbuffò:
“Va bene”.
Gatto Peppo entrò in casa ancora più arruffato
del solito, ma i suoi baffi sprizzavano orgoglio. Miagolò con eleganza alla
signora Anna e al signor Luigi, fece un cenno d’intesa a Carlotta e porse la
zampetta a gatta Bella.
“Putridona mia – disse – ora ci potremo sposare”.
Gatta Bella alzò i suoi occhioni e col nasino
rosa fece segno di sì.
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