“Perché mi state
guardando?” Occhi di fuoco, le vene della gola in rilievo, il respiro
trattenuto di chi vorrebbe darti un pugno e non può, la voce alterata.
Mi è successo centinaia
di volte, in classe.
E non perché stavo fissando in maniera particolare,
semplicemente perché, come decine e decine di volte ho risposto, “ti sto
guardando perché, in questo momento, sei quello che sta di fronte ai miei
occhi; vedi bene che, per come siamo fatti, di solito, se non giriamo la testa,
quello che vediamo più facilmente, è quello che abbiamo davanti a noi; se stai
attento, ti accorgerai che, mentre cammino per l’aula, guarderò allo stesso
modo, anche lui e lui e lui…”
Mi ha sempre colpito l’incapacità
di molti dei ragazzi di Nisida di sopportare
uno sguardo, il loro percepirlo come un’insostenibile
provocazione: qualcosa che giustifica non solo la reazione verbale, la
lite, ma, appena possibile, la coltellata: anzi, le coltellate: un’offesa da
lavare (e levare) col sangue.
Mi sembra la reazione di
chi si sente, in realtà, invisibile e
ha il terrore che qualcuno penetri la sua nudità,
di chi non ha una pelle che lo difenda dal mondo. Una pelle fatta da un
ambiente mediamente sano e,
soprattutto, da una famiglia, per parafrasare Winnicott, sufficientemente buona.
Chi non si sente
amorevolmente visto, chi non ha reti che lo sostengano e punti di riferimento
cui ancorarsi, risponde (può rispondere) cercando un’identità nella violenza, considerata come
la propria forza: così tutti potranno vedere quanto è potente, quanto è grande.
Non c’è risposta semplice
alle problematiche minorili che, a Napoli, in quest’ultimo mese, la prepotenza
della cronaca nera rende evidenti anche a chi non vuol vedere.
Ma non se ne
esce se la società non si fa carico delle enormi ferite di una marginalità che si somma a tante marginalità fino a
diventare una bomba sempre pronta a fare danni.
Assolutamente vero. Questi ragazzi non reggono lo sguardo perchè nessuno li ha mai guardati, degnati di ascolto. Ecco che la sfida, la violenza, l'insolenza e la coltellata diventano un modo per affermare la propria forza. Un'imtazione della propria realtà, dei propri punti di riferimento mai avuti, dove magari aggredire è la parola chiave. Dietro a quell'aggressività primordiale c'è PAURA.Istinto cieco di sopravvivenza. Aggredire per non essere aggrediti. Sembra assurdo, ma usano quel linguaggio, seppur distorto, perchè hanno paura della vita.
RispondiElimina