Il fratello d’una mia trisavola – ho il suo
stesso nome, ma il mio deriva da una diversa linea genealogica – era, dicono,
un gran lavoratore. Piccolo di statura, preciso
in ogni suo dovere, tutto casa,
campagna e chiesa. Inappuntabile.
Ma un giorno, chissà in quale pensiero immerso,
fece quella che oggi si chiamerebbe una gaffe.
Come d’uso, entrando in una casa amica, si tolse ‘a birritta, s’inchinò e, a voce forte,
disse: “Saluti e bon ci crisci”.
Senza considerare che era andato lì, col morto ancora nel suo letto, per una
visita di condoglianze.
Donna Francesca – mia trisavola anche lei – lo fulminò con lo sguardo e se lo mangiò di parole: “Compari, ‘u beni mi crisci, ‘u mali ‘nto fundu du ‘mari…”.
Perfino gli auguri, insomma, rischiano di non
essere sempre appropriati;
addirittura d’essere sbagliati.
Figuriamoci le scelte.
Ho idea che ci troviamo ad uno snodo importante –
forse epocale – della nostra storia.
Avverto tutta l’inquietudine della strada giusta.
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