Sarei pronta a scommettere che – togliendo le parti specificamente
“religiose”, che interessano solo i cattolici e i primi cinque paragrafi del
punto 4 del messaggio di Benedetto XVI per la XLVI Giornata Mondiale Della Pace, 1° Gennaio 2013 – tutto
il resto, ove mai venisse letto, sarebbe largamente condiviso. Quanto ai quei
primi cinque paragrafi, sono stati ampiamente riportati, tagliuzzati e con
titoli cubitali, da tutta la stampa e hanno innescato polemiche pesanti con
attacchi anche virulenti al pontefice.
Ci sarebbe da fare, come in altre occasioni, un
discorso sul tasso di informazioni e di deformazioni dell’attuale
Comunicazione, resa più facile, ampia e democratica, ma anche più superficiale
e a colpi di slogan dalla diffusione dei social network. Ma lo eviterò.
Ce ne sarebbe anche un altro sui responsabili
della comunicazione del Vaticano, che dovrebbero conoscere bene le leggi dei
media, per cui non risulta molto credibile il loro “stupore” di fronte a
reazioni che non si poteva proprio dubitare avrebbero creato, in questa come in
altre situazioni, frasi ed espressioni, che risultano decisamente più taglienti
del resto dell’intervento papale. Ma eviterò anche questo discorso.
E proverò, da cittadina qualsiasi, a dire la mia
nel merito.
Sul “diritto naturale” ho sempre avuto molti
dubbi. Perché l’uomo è “natura” che non comprende se stesso senza “cultura”, per
cui non può che interpretarsi se non attraverso pensieri e parole cui la
variazione dei tempi e dei luoghi conferiscono sfumature differenti e
imprescindibili anche a ciò che pure, resta, in esso, fondamentalmente
identico.
Il matrimonio è munus mater, ovvero la forma giuridica che, nel tempo, è servita a
dare un nido certo alla prole. Qui il discorso si fa lungo e tonnellate di
studi di genere ne hanno sviscerato le caratteristiche di subordinazione della
donna. Cosa che, a mio parere, non ha scalfito il nucleo fondante: il
matrimonio ha in sé la potenzialità delle nuove nascite. Ergo, prevede come
attori un uomo e una donna.
Non avrei personalmente accettato una “convivenza”,
che mi sa di potenziale “transitorietà” delle scelte, ma, appunto, ne parlo
solo per me e non ho nulla da dire su chi, invece, questa scelta la fa (magari,
in maniera transitoria verso il matrimonio). Comprendo, ma non trovo
convincente la scelta dei pacs, ovvero una diversa forma giuridica per regolare
diritti e doveri della coppia rispetto a se stessa e ai propri figli. Se mi si
chiede, socialmente, di laurearmi per insegnare, di prendere la patente per guidare,
senza che io possa esibire un diverso tipo
di laurea o di patente, regolare per legge una forma “para-matrimoniale”
corrisponde certo ad una sempre crescente “liquidità” delle relazioni, ma segna
un doppio binario su cui più di qualche perplessità mi sembrerebbe sensata.
Quanto agli omosessuali, non ho dubbio che vada,
invece, istituita una forma di patto civile che garantisca, se vivono in
coppia, i loro reciproci diritti. Ma il termine matrimonio mi sembrerebbe una
presa in giro della lingua. E sulle adozioni: sono certa che, in singole
situazioni, i bambini possano crescere felici con due madri o due padri, ma, in
termini di principio, no: hanno bisogno di un riferimento materno e paterno,
non da “coniuge A” e da “coniuge B”, ma proprio da “madre” e “padre”, uomo e
donna.
Su aborto ed eutanasia mi sono più volte
espressa, quindi, stavolta, posso esimermi.
Dimenticavo: la famiglia. Beh, la famiglia, in relazione agli affetti, si
declina in ogni situazione giuridica o meno in cui due o più persone convivono
con rispetto e amore; in senso più costituzionalmente proprio è fondata sul matrimonio.
Detto questo, mi auguro che i prossimi due mesi
di campagna elettorale, già infelicitati da troppe contorte parole, non siano
fagocitati da tematiche di straordinaria importanza – per i riflessi
sull’impostazione giuridica dello Stato e per le ricadute su persone in carne
ed ossa – che dovrebbero essere sottratte a scontri ideologici e riportati
nell’ambito di una riflessione possibilmente pacata e costruttiva. Non tra “destra”
e “sinistra”, “laici” e “cattolici”, ma, semplicemente, tra “cittadini”.
Che si richiamano magari, nell’insieme, ad alcune scelte ideali fondamentali, ma
ognuno dei quali ha una sua esperienza esistenziale e un suo modo di inquadrare
gli eventi. E chi la pensa in maniera differente non è un appestato.
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