Italiana. Perché la
lingua che parlo, quella in cui scrivo, e, soprattutto, quella in cui penso è
l’Italiano.
Che non è stato la mia
prima lingua; lo è diventato, e con una certa fatica, durante i primi anni di
scuola elementare, quando ho imparato a tradurre nelle sue forme la grammatica
e la sintassi dialettali dell’infanzia, cui torno naturalmente quando
situazione e compagnia mi portano al reggino.
In questa mia identità
italiana – a sfumatura calabra – s’innesta un’altra identità, quella europea,
dove non è la lingua l’elemento primo, (non conosco nessuna lingua moderna al
pari di quella italiana e neppure del dialetto reggino), ma la
compartecipazione ad una comune storia, un comune destino.
Nella notte olimpica, la Gran Bretagna si è presentata al mondo, con l’orgoglio
di chi considera grande il suo passato e pieno di speranza il suo futuro: nazione
del mondo e isola felice, senza
particolari relazioni all’Europa.
Nulla di nuovo sotto le
stelle. Eppure: che peccato.
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