giovedì 5 luglio 2012

Benedetta Tobagi Come mi batte forte il tuo cuore


Più tenace della tua paura, più profonda del tuo dolore, nel silenzio dell’essere la Vita canta.
Walter Tobagi
Ho ascoltato dal vivo Benedetta Tobagi – oggi eletta nel CdA della Rai – una sola volta, nel novembre del 2010. Parlava, insieme, ad Amos Oz, al Museo Nitsh, di “abbracci spezzati” nell’ambito delle iniziative del Premio Napoli. Un incontro che, pur infastidito da insistite contestazioni sulla politica antipalestinese del governo israeliano fatte ad Oz, i fortunati presenti ricordano ancora per la bellezza del discorrere dei due interlocutori.
Scrissi sull’allora mio blog:
Gentile nei toni, nei modi e nel pensiero, lucida, equilibrata, Benedetta Tobagi, autrice del bellissimo Come mi batte forte il tuo cuore – Storia di mio padre, ha parlato del suo sforzo di “capire per controllare l’abnorme”: “Non si può vivere in un mondo in cui manchi l’orizzonte di senso, senza speranza, che non è l’ottimismo dei film americani, ma l’ordine della cose”. “Con la stoffa migliore”, ha voluto costruire “il miglior vestito” possibile per il padre, restituendone la personalità: “Io ho potuto scrivere perché ho avuto in eredità tutto quello che mio padre ha scritto. Ho cominciato ad avere un rapporto con mio padre attraverso i libri di mio padre. Il fatto che lo studio di mio padre sia rimasto intatto, bloccato, ha permesso che io ricevessi tutto. Mia madre ha cristallizzato tutto: non ho vissuto in una casa, ma in un cenotafio: ma dai libri è partito l’avvicinamento a mio padre. Scrivendo, ho cercato di innestare il pubblico e il privato, di mettere il dialogo la sua voce e la mia voce, in uno spazio più ampio”. Se, nelle parole della figlia, il padre vive con tutta la complessità del suo carattere, delle sue scelte, delle sue relazioni familiari, amicali, di lavoro, Benedetta Tobagi è in grado di parlare anche “dell’altra parte”, quella che lo uccise. Il suo giudizio, chiaramente e giustamente senza appello, sul terrorismo anni settanta è però capace di cogliere “l’umanità” dei terroristi. E, sulla scia di Walter, fortissima emerge nella figlia, l’esigenza di adoprarsi per quei miglioramenti sociali possibili affinché, anche nel “paese sommamente imperfetto” in cui oggi viviamo, “orizzonti di speranza abbiano spazio”.
Pochi giorni prima così avevo recensito il suo libro:
“Se toccasse a me (di essere ucciso, ndr), la cosa che mi spiacerebbe di più è non aver trovato il tempo per scrivere una riflessione che spiegasse agli altri, penso a Luca e a Benedetta, il senso di questa mia vita così affannosa”. “Vorrei poterlo rassicurare: le parole che compongono quella riflessione esistono, intessute in tutte le altre (che ha scritto, ndr). Rileggendole, ho trovato in controluce la lettera mai scritta destinata a me”. Come mi batte forte il tuo cuore, edito lo scorso anno da Einaudi, è la storia pubblica e privata di Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera ucciso da una semisconosciuta formazione terroristica nel 1980. Ma è soprattutto la storia della lunga ricerca che Benedetta Tobagi, che aveva appena tre anni al momento dell’assassinio, compie per ritrovare suo padre, oltre i miti pubblici e privati che gliene offuscavano la vista: “Non sapevo da che parte cominciare. Allora non potevo certo immaginare che a condurmi per mano sarebbe stata la stessa persona che volevo raggiungere”.
Libro di fortissimo impatto; Come mi batte forte il tuo cuore intreccia l’analisi lucida e rigorosa dei nostri anni settanta, la ricostruzione attenta dei fatti e delle persone, sia per quanto concerne il fenomeno terrorismo che la vita in redazione, la tenera, pudica e spietata messa a nudo dell’incommensurabile dolore del vivere “in mancanza”. “Il dolore è una sostanza pericolosa, difficile da gestire, come un esplosivo molto instabile”: nonna Lisa se ne chiude in uno “pietrificato, inaccessibile innominabile”; il nonno Ulderico “si batté come un leone in aula accanto ai difensori di parte civile”, accumulando delusioni e amarezze; la madre, Stella, trova conforto in una dimensione spirituale di fede che “si traduceva spesso in comportamenti e affermazioni che per me erano profondamente disturbanti”.
Benedetta Tobagi, bambina triste e solitaria tra “un nome onnipresente e un vuoto abissale”, attraversa baratri che descrive con una sobrietà e, insieme, con una scoperta autenticità che entrano nelle ossa di chi la legge. Diventa grande cercando il padre, nei suoi scritti (giornali, libri, diari, appunti, lettere), nelle registrazioni di alcuni suoi interventi, nei ricordi di amici e conoscenti, nelle memorie dei familiari: “Mi hai accompagnato incontro alla mia vita. Prendermi cura di te mi ha spinto ad aprirmi verso il mondo. Per te ho avuto fame di leggere, scrivere, conoscere, e non sono sazia”. Si riconosce figlia non dell’icona ma dell’uomo Walter Tobagi “senza retorica, come una responsabilità, qualcosa di cui essere fiera e insieme un impegno da portare avanti, un tesoro da difendere e da valorizzare: la mia vera eredità”.



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