«La mia prima domanda è perché ho fatto il prete? Per amore di Dio? Per amore di Gesù? Per amore delle donne? Per amore vostro e di tutti gli altri uomini? Aiutatemi voi a dare una risposta. Potrete immaginare: io ho paura. Paura di deludere. Deludere le vostre aspettative. Io non sarò un missionario della Chiesa. Io sarò prete del Cristo fattosi uomo. Ecce homo. Non esisterà altro nei miei pensieri, Gesù fattosi carne e ossa e sangue. Il mio Dio avrà gambe e braccia e pancia. Avrò rispetto di ciò che siete, di ciò che siamo. Rispetterò le differenze, ciò che ci piace, ciò che ci dispiace. Avrò cieli ampi davanti ai miei occhi. Azzurri o grigi o anche neri come il grasso sugli ingranaggi delle motociclette, perché non potrò che essere un meccanico di Cristo. Io non potrò essere il prete delle prime comunioni o delle cresime con il pranzo di famiglia. Cercherò invece di assolvere al compito di vicinanza alle famiglie. Proverò a usare tutte le mie parole, quelle tante parole che ho raccolto e che sono prezioso dono di Dio, come il liquore di mamma che si sposa a perfezione con le renette. Ascolterò. Conforterò. Compatirò con voi. Cercherò di portare anime a Gesù, e il Cristo uomo alle anime sulla terra. Non costruirò chiese. Pensatemi blasfemo, ma non credo ne servano più. Ponti per la gente, quelli sì. Per questo Dio mi ha chiamato.»
Nella sua prima omelia, Faustino espone ai fedeli una sorta di programma di chi vuole essere. Nato nel comasco in una famiglia laboriosa, grande tifoso dell’Inter, Faustino è stato un bambino silenzioso, ma ha accumulato quaderni di parole scritte, una sorta di mappa per interpretare la realtà e ha imparato dall’amico sacrestano a riconoscere ed amare le piante. Ben presto, ha cominciato a parlare con Dio, a sentirne la voce, a vivere “offerto” alla sua presenza. Entrato in seminario, ha seguito l’iter per diventare missionario, per legare la passione per Dio a quella per gli uomini. In Togo, la sua fede cattolica – istintiva e, però, maturata nel confronto con la filosofia occidentale, nelle esperienze parrocchiali, nel confronto con i problemi della società e dei parrocchiani – dialoga, in una tensione che cerca sintesi, con la tradizionale religiosità africana. Finché a modificare il corso del sua vita, sarà Nives, che, lasciato il sacerdozio, diventa sua moglie e madre dei suoi due bambini. Un grande amore che troverà sul suo cammino un difficile muro da scalare.
Odiodio di Andrea Salonia, edito da La casa di Teseo è il più bel libro italiano che ho letto nel 2020.
Un testo così autentico che, a non sapere che l’ha scritto un apprezzato urologo potrebbe davvero sembrare una vicenda autobiografica. Di sapori, odori, emozioni semplici, “carnali” senza malizia né prurigine. Di profonda ma tutt’altro che convenzionale spiritualità. Capace – cosa che nella nostra recente narrativa non è accaduto spesso – di narrare, il cuore di un bambino-ragazzo-uomo alle prese con le domande fondamentali della vita e la sua verità esistenziale sia come prete che come non più ma ancora sacerdote.
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