Nisida, rosa. Foto del direttore, Gianluca Guida |
Le Beatitudini di Nisida
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Io sono cretino. Di tutti i guai che ho, questo è il più grosso, quello che mi fa più rabbia. Con gli altri, faccio lo spaccone, fingo di essere uno che la vita gli piace giocarsela e, comunque vada, vince. Ma dentro il cuore so che ho buttato via la gioventù. Mi sono sentito padrone di notti in cui ho fatto paura alla gente, ma niente mi è rimasto. I soldi, si. Con tutti quelli che si sta mangiando l’avvocato, me ne restano altri, nascosti in un posto sicuro. Ma i soldi non ti fanno ricco. Lo so, anche quando giuro il contrario. È che mi vergogno a dire che cambierei tutti i soldi che nella vita ho rubato e perso per un abbraccio, forte, di mio padre.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Rido. Sempre. Anche dopo aver ammazzato la vecchia che si teneva stretta la sua borsa, ho continuato a ridere. Perché, da quel momento, mi è venuto come un tremito che mi fa muovere i muscoli della faccia e mi fa nascere dalla gola un rumore come di riso. La verità è che mi vergogno troppo. So che tutti, anche quelli che non dicono niente, mi schifano. Pure io mi schifo. Non piangerei davanti a nessuno, sono troppo grande per le lacrime. Ma quando sono solo vorrei piangere: per quella povera disgraziata – volevo la sua pensione, non la sua vita – e anche per me. Ma le lacrime non mi vengono: chi potrebbe perdonarmi? Io, di sicuro, no.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Da quando mi ricordo, ho litigato sempre. Di botte ne ho date e ricevute. Di risse ne ho fatte tante. Non sopporto che qualcuno mi guardi, mi sale l’ansia. È pure peggio se qualcuno mi guarda la fidanzata. Il fatto è che dicono che sono un ladro, ma, a me, m’hanno rubato tutto. Mio padre se lo sono portato via i carabinieri, mia madre me l’ha tolta il cancro, mio fratello grande l’hanno sparato e il più piccolo l’hanno messo in collegio. Io una cosa, non so com’è: poter stare tranquillo, mettere la testa sul cuscino e dormire senza sogni. Certe volte, guardo il mare, quand’è calmo. E penso che così vorrei stare, sempre.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Mi hanno mandato in galera per una rapina che non ho fatto. E non mi hanno accusato per tre che, invece, ho fatto e ci ho pure ricavato non c’è male. Sono strani i giudici che non ascoltano: loro a dire che quello col cappuccio verde ero io; io a dirgli che, una tuta così, non me la metterei neppure morto. È vero che sto pagando per una e dovrei pagare per tre. I compagni dicono che sono fortunato. In fondo ci sto guadagnando. Ma ‘sta cosa mi sta esaurendo: a finale, preferirei stare in galera per quello che ho fatto, non per quello che non ho fatto. Neppure a scuola, hanno mai azzeccato un voto. Se copiavo, mi davano pure sette. Se provavo a studiare, la sufficienza non la prendevo mai. Nessuno mi hai visto, davvero.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Ogni tanto arriva qualcuno innocente. Non che dice di essere innocente. Proprio, non ha fatto niente. Mai. All’inizio, pensavo: “Questo non è neppure un pesce di cannella; è un disgraziato” E guardavo chi aveva ucciso, magari più d’una volta, col rispetto che si deve a chi è più forte di te. Poi ho imparato che, più o meno buoni o cattivi, qui siamo tutti disgraziati. E, quando si è disgraziati uguale, non si possono fare tante distinzioni. Se a te va bene e a me no, ci resto male. E pure se a me va bene e a te no, tu ci resti male. “Io” e “tu” sono parole fredde, che diventano muri di ghiaccio. Che poi è ridicolo in questo luogo di mare. L’unica è dire “noi”, come facciamo io e fratima-cugino. Se ci si guarda con occhi buoni anche quando si litiga, è come stare sempre al sole.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Sono vissuto scappando. Sempre. Dalla polizia. Dalla scuola. Dall’oratorio. Dalla mia famiglia e dai miei amici. Pure da me stesso. Non voglio che nessuno mi veda come sono. Perché lo so che sono sbagliato, difettoso. L’unico da cui non mi nascondo è Dio. Tanto Lui lo sa come sono. Sa quello che faccio e quello che penso: che sono cose che so pure io. Ma sa pure perché lo faccio e perché lo penso: cose che, invece, io non so. Non sopporto i tanti che di me non sanno niente e vogliono darmi ordini su quello che devo pensare e fare, e giudicano e decidono punizioni per questo o quest’altro. Dio, che sa, non sta lì a giudicare e punire. Forse, neppure a premiare, che è l’altra faccia del punire. Sta lì, semplicemente. E, forse, sta anche qui. Nel fondo del cuore.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
La guerra la conosco bene. Nel mio quartiere c’è battaglia ogni giorno. La mia famiglia combatte contro un’altra da anni. Pure i film di guerra sono gli unici che riesco a vedere senza addormentarmi. Le armi, il sangue che scorre mi fanno battere il cuore. Ho sempre sognato d’essere un capo, uno che ordina ai sottoposti come un generale ai soldati. Ma sempre un soldato sono rimasto e il capo lo faccio solo nella mia testa. Nella mia mente la guerra infuria, sempre. E, quando è arrivato in carcere, uno della famiglia rivale, ho pensato che era il momento della vendetta: finalmente. L’ha pensato anche lui: gliel’ho letto negli occhi. E non mi è venuta paura, anzi. Però m’è sceso addosso un sentimento che non conosco. E gli ho mandato a dire: “Lasciamo perdere”. E anche lui ha risposto: “Lasciamo perdere”.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Quelli che rubano si prendono più anni di carcere di chi uccide. E se hai un certo cognome ti prendi di più che se hai un cognome che nessuno conosce. Dicono che non capisco niente, che non mi adeguo a tutti i codicilli del codice. A me, però, tutta la giustizia sembra ingiusta. Non è che non voglio pagare. Ho sbagliato e pago. Sono un uomo, io. E gli uomini si prendono la responsabilità di quello che fanno. Però. A essere giusti, se su un piatto della bilancia si mette quello che ho fatto, sull’altro bisognerebbe mettere quello che non ho avuto. Pare che, i bambini, dalle nostre parti, abbiano baci e carezze e giochi e tante persone che si occupano di rendergli la vita più bella. A me non è capitato. Ed è un vuoto che mi urla dentro.
Ho scritto questi appunti, su input del cappellano dell’Istituto, don Gennaro Pagano, qualche settimana fa, per un progetto che lui ha a cuore e che, certamente, porterà a termine.
Vorrei fossero, intanto, un augurio, per il 2021,
di ogni bene per i ragazzi di Nisida: quelli che ci sono dentro adesso, tutti
quelli che ho conosciuto e, soprattutto, quelli che, usciti dalla piccola isola, si trovano ad affrontare, troppo soli, le difficoltà del reinserimento sociale, difficoltà che l'epidemia in corso rende più pesanti.
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