domenica 20 dicembre 2020

Microstorie: L'amore al tempo del lockdown

 


La prima volta che lo vide, Paolo stava stendendo panni. Indossava una tuta nera, con il laccio del cappuccio ben stretto alla gola e lo sguardo, dietro gli occhiali, appariva quasi severo.

Anna stava dalla nonna da quasi una settimana. Aveva trent’anni e viveva a Roma con i genitori. Lavorava in una casa editrice tutta al femminile e arrotondava con traduzioni da lingue orientali. Dall’inizio dell’epidemia, lavorava a casa. Il comitato direttivo aveva deciso che era il momento di passare totalmente al digitale e a distanza, cosa cui pensavano da tempo, ma che, fino ad allora, era sembrato troppo temerario attuare. Qualche settimana prima dello scoppio dell’epidemia, aveva cominciato a parlare di convivenza con Antonio, con cui aveva una altalenante relazione da tempo; ma i mesi del lockdown li avevano progressivamente separati non solo fisicamente. In estate, poiché lui aveva degli impegni in città, anche lei era rimasta a Roma, a tentare di rimettere insieme i cocci. In autunno, dopo una lite che sembrò ad entrambi definitiva, aveva deciso di prendersi una settimana di stacco dalla quotidianità. La casa della nonna, tra campagna e mare, dove avrebbe potuto, insieme, riposare e lavorare tranquillamente, le era sembrata la scelta migliore.

Ma dopo appena qualche giorno di permanenza, la regione, inaspettatamente, fu inserita tra quelle rosse e Anna decise di restare per non lasciare sola la nonna, vedova da tempo. La casa era grande, lei s’era installata al secondo piano e, nelle pause di lavoro, faceva la spesa e qualche passeggiata verso la campagna o verso la chiesa. Non frequentava le chiese dai tempi della cresima, ma quella cappella a forma di barca, sobria, con la luce che filtrava verso il tabernacolo, la acquietava: quasi senza accorgersene, aveva ricominciato a pregare. La nonna cucinava. Mangiavano insieme a pranzo; la sera, la nonna andava a letto presto e Anna piluccava qualcosa, più tardi, leggendo qualche libro o vedendo qualche film.

Anna si alzava presto. Le era sempre piaciuto passare lentamente dal risveglio al lavoro; era il suo tempo per stare con se stessa, con i pensieri che si depositavano in qualche luogo segreto del cuore e facevano meno male. Si accorse fin dal primo giorno che il dirimpettaio si alzava prima di lei: quando sollevava la tapparella della sua stanza, c’era già luce in quella di fronte.

Paolo – seppe dalla nonna – viveva a Milano; era ingegnere, lavorava in una qualche multinazionale. Se n’era sceso nella casa dei suoi, morti da alcuni anni, fin dall’inizio del lockdown e ci era poi rimasto. Anche lui lavorava da casa. Che a Milano era piccola e immersa in altre case e, al paese, era grande con un bel giardino intorno. Non si sapeva molto della sua vita privata, se non che aveva convissuto a lungo con una ingegnera che l’aveva lasciato per un collega. Si vedeva poco anche affacciato sul terrazzino, ma s’era da subito mostrato gentile. Aveva presto bussato alla nonna per dire che, in caso di bisogno – poiché le sembrava vivere da sola – poteva contare su di lui; s’era offerto di farle la spesa e più d’una volta le aveva fatto trovare, dietro il portone, una busta con un po’ di frutta, del parmigiano, dei pelati.

Anna e Paolo si incontrarono per la prima volta a mare. Anna era scesa sulla spiaggia al tramonto per fare qualche foto e ci aveva trovato Paolo, che stava facendo la stessa cosa. Fu lui a salutare: “Sono il suo vicino di casa. Vedo che non ha macchina. Se posso essere utile, non mi risparmi. Mio padre era amico di suo nonno”. Si scambiarono il numero di cellulare. E già qualche sera dopo iniziarono a scambiarsi qualche messaggino, per poi passare a telefonate che, da brevi, si fecero lunghe.

Nessuno dei due aveva intenzione di innamorarsi. Paolo, che aveva vissuto come un trauma l’essere stato lasciato dalla compagna, non voleva impegni sentimentali. Anna, ferita dalla rottura con Antonio, s’era ripromessa di disintossicarsi, occupandosi per un anno solo di lavoro. Ma fu quello che successe.

In un mese di parole – quasi tutte a distanza (la zona continuava ad essere rossa e loro continuavano a rispettarne le norme): molto breve, quella tra le due finestre dietro cui telefonavano – si raccontarono di sé più di quanto avessero mai fatto e più di quanto le parole fossero in grado di esprimersi.

A Natale, i genitori di Anna rimasero a casa loro. Per la prima volta, per prudenza, non spartirono le vacanze con i rispettivi genitori (quelli di Anna avrebbero avuto la compagnia di una figlia che abitava vicino) e, per Anna, non fu difficile convincere la nonna a invitare Paolo a pranzo. Il pranzo fu sobrio e saporoso, la conversazione gradevole. Nessuno lo disse, ma fu quello che, in altri tempi, si sarebbe definito un fidanzamento ufficiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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