sabato 10 ottobre 2020

Dai Moti alla vittoria di Falcomatà: Reggio una città identitaria


Nel 1970, di questi tempi, Reggio era in rivolta. I Moti – che avrebbero assunto, poi, la definizione di Boia chi molla – iniziati il 14 luglio, si sarebbero conclusi il 18 febbraio 1971, quando vi pose fine la sfilata dei carri armati sul Lungomare – immagine che ancora mi fa rabbrividire: unico fatto del genere in una città italiana, dopo la seconda guerra mondiale.

Ho letto, in questi anni, decine e decine di interpretazioni di quei fatti, saggi, memoir, racconti che provano a cogliere la complessità dell’intera vicenda (rimando ancora una volta al bel romanzo, uscito per Giunti qualche mese fa di Gianfrancesco Turano, Salutiamo, amico) e ho apprezzato questa o quella valutazione sul corso degli eventi. Nessuno è riuscito a smuovermi dalla convinzione che, all’inizio, la rivolta non ebbe colore alcuno. Fu l’esplosione viscerale, immediata, di un’identità che si ribellava ad un torto subito. Non ho mai dimenticato il mio prof di Matematica, persona mite, uomo famiglia e scuola, che piangeva (letteralmente) sulla città, “la nostra mamma offesa”.

Se la rivolta ebbe poi una guida fascista e vi si inserirono ben altri interessi, ciò fu il risultato della capacità, in quel contesto, della destra di esprimere una leadership, di altri, e illegali poteri, di infiltrarsi e dei limiti della politica generale della sinistra e, in particolare, dei limiti del suo meridionalismo. Una spinta popolare autentica – non liquidabile come una lotta per il pennacchio – venne regalata dal Pci ai fascisti: con risultati pesanti, pagati da tutto il Meridione, nel corso dei successivi decenni.

Cinquanta anni dopo, in circostanze molto diverse, la stessa spinta identitaria ha portato alla vittoria di Giuseppe Falcomatà. Poiché molte cose (in primis la spazzatura: non responsabilità sua, ma così percepita da buona parte della popolazione) erano contro di lui, molto probabilmente un candidato scelto dalla destra reggina e lui stesso reggino doc, l’avrebbe sconfitto. Le scelte degli avversari hanno, invece, fatto scattare, nell’inconscio prima che nel segno sulla scheda elettorale, un altro grido: “Salvini passa ‘pa casa”: un segno d’identità, di contro al piede straniero che non ha diritto di calperstarci.

Non sempre le spinte identitarie vanno in una buona direzione e producono i frutti sperati. Questa volta, ce ne sono tutte le premesse. Nuovamente, Reggio ribadisce di avere un’esigenza prioritaria: essere ascoltata, non essere giocata su tavoli lontani per altrui interessi.

Se Falcomatà e la sua giunta ne terranno conto, la consiliatura che sta per aprirsi potrà segnare una svolta nella nostra storia.

Ripreso su Zoomsud:

http://www.zoomsud.it/index.php/politica/107714-l-intervento-i-moti-falcomata-e-l-identita-reggina

 

 

 

 

 

 

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