Dal dicembre 2004 al dicembre 2008, uno dei percorsi didattici più importanti dell’Istituto Penale Minorile di Nisida è stato FilmandoNisida.
Non che mi siano mancati, in tanti anni di lavoro, progetti svolti in
collaborazione con associazioni esterne al carcere che (essendo io
responsabile dei progetti scolastici) abbiano messo a dura prova le mie
capacità di pazienza, mediazione valorizzazione del positivo, ma pochi,
forse nessuno, come questo, mi ha portato tanto vicino, decine di volte, ad una crisi di nervi.
Si trattava di un Cineforum, ma
particolare perché alla visione del film partecipavano anche il regista
e/o gli interpreti, cosa che ha permesso ai ragazzi (e a noi) di
confrontarsi con personalità (e ne cito solo alcune) quali Francesco
Rosi, Vittorio De Seta, Mario Martone, Roberto Faenza, Antonio Capuano,
Antonietta De Lillo, Toni Servillo, Luigi Lo Cascio, Peppe Lanzetta,
Renato Carpentieri, Enrico Lo Verso, Donatella Finocchiaro.
Un’esperienza bella, a tratti esaltante.
Ma tutt’altro che facile. Il perché lo spiegavo in una relazione di
lavoro del 2007: “… ci sono stati, tra docenti e operatori de I Figli del Bronx
(ndr il regista Carlo Luglio e Gaetano Di Vaio), promotori
dell’iniziativa, momenti di tensione; entrambi, in alcune situazioni,
abbiamo provato sconforto e delusione e i riadattamenti in corso d’opera
sono stati molti. Se, però, si è potuta svolgere con un bilancio
largamente positivo lo si deve all’impegno e alla disponibilità di
tutti, al comune amore per il cinema e alla condivisa convinzione delle
opportunità che la didattica può trarne. Ma, soprattutto, al suo
promotore e organizzatore. Gaetano Di Vaio ha passato molti anni in
carcere ed è ora un operatore culturale. E’ passionale, coinvolgente e
generoso nell’esporsi ma (…) non è facile confrontarsi con lui e con le
sue idee …(ndr: in particolare per una certa carica anti-istituzionale
ben poco consona al luogo ospitante). Ma parla un linguaggio, gesti e
parole, riferimenti a luoghi e persone che i ragazzi capiscono e, quando
indica loro la possibilità di un’alternativa alle strade che li hanno
condotti in carcere, il suo parlare viene percepito come frutto di
un’esperienza messa al loro servizio non come una predica venuta da chi,
nonostante gli ottimi studi e le migliori intenzioni niente sa della
loro vita vera. Lo sentono naturalmente dalla loro parte e lo
considerano un amico vero, da cui si possono accettare le critiche più
aspre. Per questo, in questi anni, al di là di tutte le discussioni che
pure ci sono state le docenti hanno imparato a considerarlo il reale
valore aggiunto del progetto Filmando Nisida”.
Tutta la sua capacità affabulatoria, la
straordinaria forza vitale, il correre continuo verso altre sfide,
l’insofferenza alle regole, la capacità di passare dagli inferni ai
paradisi della società con lo stesso atteggiamento di chi, comunque,
manterrà le sue idee e i suoi comportamenti – tutto quello di lui
abbiamo conosciuto e che anche quell’esperienza ha contribuito non poco a
maturare, a smussare – stanno, ora, nel romanzo autobiografico scritto
insieme al cineasta Guido Lombardi.
Non mi avrete mai, edito da
Einaudi, racconta la formazione criminale dell’alter ego di Gaetano Di
Vaio, Salvatore Capone, un cane sciolto che vive per molti anni di
furti, rapine, spaccio di droga, in una Napoli dove Stato e anti-Stato
partecipano, sebbene in maniera diversa, di una comune illegalità:
avvertita, sia dagli abitanti sia dal resto della popolazione,
periferica, separata, altra cosa dal centro ben oltre i pochissimi
chilometri di distanza.
L’eccezionalità del libro non sta solo
nel suo valore di testimonianza – questo è un testo vero in ogni parola,
che fa giustizia della Napoli criminale dei libercoli degli epigoni di
Saviano (a scanso di equivoci: altra cosa resta Gomorra) – ma, e forse
soprattutto, nel suo valore letterario.
Costruito su ritmi cinematografici –
passione forte e vera di Gaetano Di Vaio, che da anni fa proprio il
produttore – il libro ha una misura narrativa e una qualità stilistica
che non fanno minimamente rimpiangere il celebrato Edward Bunker.
Chi voglia leggere un gran bel libro e insieme
farsi un’idea più concreta di certi modi in cui un ragazzo di grande
intelligenza e sensibilità rischia di crescere nei quartieri e o paesi
marginali di Napoli ( e non solo) non dovrebbe lasciarselo sfuggire.
Un libro così è bene che il lettore lo
scopra direttamente da sé (e, per questo, evito le citazioni dal testo
che mi piace molto fare), ma non posso non sottolinearne due aspetti.
Il
primo è la figura di Lucia, quasi un monumento di tenerezza alla
ragazzina già provata dalle esperienze della sua famiglia d’origine e
che diventa motivo non secondario del voler cambiare vita del
protagonista. Il secondo è che un testo così, più di decine e decine di
dibattiti evanescenti, fantasmatici, dice quanto può contare, nella vita
di un uomo, il semplice imparare a leggere (con quel che ne consegue).
pubblicato su Zoomsud
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