domenica 29 settembre 2013

Ah, Italia mia...







Italia mia, benché ’l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio…

Sono andata a rileggermi la Canzone all’Italia di Petrarca e, naturalmente, il VI Canto del Purgatorio, quello della terzina famosissima:


Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!

E pure quella Canzone all’Italia di Leopardi, che non vale certo i suoi versi immensi ed eterni fino a quando (come direbbe altro poeta) il Sole/risplenderà su le sciagure umane, anzi mi è sempre sembrata un po’ ridicola  per via di quel roboante Combatterò, procomberò sol io.

Ma, in un sabato pomeriggio di quieto autunno – in cui, come ormai troppe volte, viene fatto cadere sul paese, un terreo sgomento di essere italiani e l’orlo del baratro, rintuzzato appena due anni fa, torna lì, peggio, molto peggio di prima  (il tutto, peraltro, mentre il presidente della Repubblica sta a Napoli a ricordare le Quattro Giornate, uno degli inizi della nostra storia più contemporanea)– tutta quella serie di domande mi appaiono  tutt’altro che retoriche.


O patria mia, vedo le mura e gli archi

E le colonne e i simulacri e l'erme

Torri degli avi nostri,

Ma la gloria non vedo,

Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi       

I nostri padri antichi. Or fatta inerme,

Nuda la fronte e nudo il petto mostri.

Oimè quante ferite,

Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,

Formosissima donna! Io chiedo al cielo             

E al mondo: dite dite;

Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,

Che di catene ha carche ambe le braccia;

Sì che sparte le chiome e senza velo

Siede in terra negletta e sconsolata,                    

Nascondendo la faccia

Tra le ginocchia, e piange.

Piangi, che ben hai donde, Italia mia,

Le genti a vincer nata

E nella fausta sorte e nella ria.                            


Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,

Mai non potrebbe il pianto

Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;

Che fosti donna, or sei povera ancella.


Sappiamo e anche bene – o dovremmo saperlo – chi ha ridotto così il bel Paese.

Saremo mai in grado di darla noi – elettoralmente, politicamente, culturalmente – la spallata a chi ci vuole paese di servi, escort, leccapiedi e compagnia, un paese volgare e, secondo l'etimologia del termine, decisamente osceno?

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